L’odio politico macchia il Premio Strega. Il romanzo revisionista su Acca Larenzia nella dozzina dei finalisti
“Vabbé che è successo nel 1978, il 7 gennaio 1978. E’ successo che due del FdG , vabbé gli hanno sparato. Eravamo in quegli anni lì, loro erano i primi del resto a sparare anche con la connivenza della P2 e per quella cosa là neanche un mese dopo i Nar ammazzano un compagno a caso, Roberto Scialabba. Ciò nonostante continuano ogni 7 gennaio a fare la la loro commemorazione a braccia tese“. Così Valentina Mira, autrice del romanzo “Dalla stessa parte mi troverai” (Sem) racconta ai compagni del centro sociale Pedro (durante l’evento Sherbooks 2024) perché e come il suo libro si occupa di Acca Larenzia. Accanto a lei c’è Rossella, la moglie di Mario Scrocca di cui il romanzo si occupa, raccontando la sua morte “sospetta” a Regina Coeli dopo l’arresto nel 1987 con l’accusa di avere preso parte al commando che sparò a Acca Larenzia. Rossella dice che “i fascisti ricordano i loro morti e noi ci dimentichiamo dei nostri. I partigiani sono morti e mi hanno lasciato le loro storie ma prima o poi ce ne andremo tutti…”.
L’autrice è molto giovane, è cresciuta al quartiere Appio Latino, ha avuto una storia con un fascista e racconta nel suo primo romanzo gli abusi di costui nei suoi confronti. Lei è una che odia. Non solo a livello personale. Lei rivendica l’odio antifascista come atto di responsabilità politica. Racconta che un giornalista della Stampa l’ha intervistata e poi questa faccenda dell’odio l’ha censurata. Insomma alla fine lo scopo del romanzo qual è? “Smontare l’apparato vittimistico dei fascisti”, la loro retorica, perché la vittima vera è Mario Scrocca. Gli altri, vabbé, erano quegli anni lì… “Abbiamo mollato – le fa eco Rossella – e oggi ci troviamo in una situazione che odio”. Cioè la destra al governo. Sempre l’odio che ritorna. Giorgia Meloni che nel 2008 è andata a onorare i morti di Acca Larenzia con una corona. Vergogna. Orrore. Come possono gli antifascisti sopportare? Odio. Odio politico. La compagna che fa le domanda all’autrice tira fuori la storia di Ilaria Salis. C’è chi fa antifascismo con la letteratura e chi lo fa mettendoci corpo e faccia manifestando in Ungheria contro i nazifascisti, afferma. “La cosa importante è non rompere il cazzo a chi fa antifascismo. Non si giudica chi lo fa e come lo fa”. Applausi.
Ora, tutto ciò risulterebbe solo banalmente irritante se non fosse che il romanzo di Valentina Mira compare tra i dodici titoli semifinalisti al Premio Strega. Un rilevante “aiutino” dell’amichettismo “de sinistra” a un’autrice che giudica la strage di Acca Larenzia una robetta giustificabile dal contesto, che fa revisionismo storico su quei fatti rovesciando le parti – la sola vittima è Scrocca, gli altri sono tutti carnefici – e che infine predica l’odio antifascista eterno come atto di responsabilità politica. E’ il ritorno, sotto forma letteraria, dello slogan “uccidere un fascista non è reato”. Bastonarlo poi, figuriamoci, aggiungerebbe Christian Raimo.
La fascetta editoriale di un testo che in un Paese normale sarebbe destinato a una ristretta cerchia di reduci odianti e che invece suscita interesse nei media mainstream, ci invita alla lettura con queste parole: “Acca Larenzia. L’altra storia di un mistero italiano”. Mistero? Un commando di ultracomunisti voleva fare una strage in un sezione del Msi e riesce a ucciderne solo due (neanche ventenni). Poi viene ucciso un altro giovane, negli scontri con i carabinieri (il vero mistero è semmai la morte di Stefano Recchioni). L’intento revisionista è evidente così come appare sconcertante che il libro venga proposto da Franco Di Mare, giornalista, con la seguente motivazione: l’autrice racconta Acca Larenzia “dalla parte del giusto (che non coincide sempre con la giustizia) da quella della Storia (che non sempre la racconta com’è andata) da quella delle vittime (che non possono condividere le responsabilità dei carnefici)”. Sì, lo immagino, a questo punto o si cede allo sconforto o alla rabbia. Ancora un attimo di pazienza. Riporterò di seguito le parole con cui l’attentato di Acca Larenzia fu rivendicato.
Ecco come cominciava la rivendicazione dei Nuclei armati per il contropotere territoriale: «Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi».
Quante assonanze e quante analogie con i discorsi di odio che si fanno oggi in modo disinvolto, quante assonanze e quante analogie con i discorsi d’odio di chi va in tv a dire che le bastonate ai nazifascisti sono giuste e sacrosante, quanta aria fetida da anni di piombo. Quanta. Troppa.