Sinistra “Tafazzi”: dalle mozioni alla Salis non ne azzecca una. E in Puglia è caos primarie

5 Apr 2024 6:58 - di Antonio Rapisarda

Più “Tafazzi” di così, davvero, non si può. Partiti, a sinistra, con l’intenzione di suonarle di santa ragione al governo e ai contraenti della maggioranza, finiti col leccarsi le ferite litigando – in ritirata – tra di loro. È una stagione difficile per le opposizioni di ogni ordine e grado, si sa. Eppure ciò che è avvenuto nelle ultime ore e in più contesti è da manuale dell’autolesionismo. Non si salva nessuno dalla débâcle: Pd, 5 Stelle, ex Terzo Polo e cespugli rossi. La prima figuraccia riguarda tutta la brigata ed è stato l’uno-due incassato sul fronte delle mozioni di sfiducia nei confronti dei ministri Salvini e Santanchè.

L’effetto? Non è stato solo quello di compattare la maggioranza (un classico) ma di fornire l’occasione proprio a Matteo Salvini per chiarire – a titoli cubitali, per la soddisfazione di Giorgia Meloni e con tutti gli osservatori internazionali attenti al voto in Aula – ciò che in Parlamento lui e la Lega hanno sempre sostanziato: «Nel momento in cui scateni una guerra passi dalla parte del torto», ha spiegato il leader leghista nell’intervista con Mario Sechi riferendosi a Putin. Quanto all’accordo con Russia Unita, il cuore della mozione, «non c’è niente da disdire perché non c’è niente in essere». Stesso discorso nel voto che chiedeva le dimissioni del ministro del Turismo per le indagini che la coinvolgono: un buco nell’acqua scenografico (la protagonista non era in Aula e le arringhe dell’accusa gestite dalle seconde file della sinistra) e una posizione, quella della Santanchè, uscita politicamente più forte.

Il risultato è chiaro. Le due votazioni hanno dilatato non le fantomatiche tensioni o gli imbarazzi fra gli alleati del centrodestra ma proprio le opposizioni incapaci di marciare compatte né, tantomeno, di colpire unite. La scenetta finale è tragicomica: Italia Viva che rinfaccia a Giuseppe Conte le aperture sulla Russia e la contraddizione di voler censurare adesso Salvini; i moderati di Azione, Costa e Gelmini, in dissenso con il proprio partito nel votare la richiesta di dimissioni; Calenda e Renzi litiganti pure su questo; Pd e 5 Stelle gelidi l’un con l’altro. La sentenza è giunta da un editorialista mite e non certo ascrivibile nel campo della maggioranza, come Marcello Sorgi, che ha parlato senza mezzi termini di «ennesimo agguato suicida» del centrosinistra. Puro tafazzismo.

Che dire, poi, della figuraccia in Eurovisione di Elly Schlein sul caso della candidatura di Ilaria Salis? Doveva essere la grande occasione per dimostrare che il Pd è l’approdo sicuro per tutti i naufraghi del diritto: è finita con la suggestione della maestra vicina ai centri sociali in lista letteralmente sbranata dal gioco delle correnti dem. Così tanto che a un certo punto persino il padre, Roberto Salis, si è sfogato per come è stata «male gestita» la faccenda della candidatura della figlia: concetto ribadito nel faccia a faccia con la segretaria Pd (surreale l’accusa ai dem di voler giocare con la figurina della figlia, dato che l’elezione – capita l’antifona – non sarebbe per nulla assicurata), con quest’ultima che ha dovuto ripiegare rovinosamente spiegando a Porta a Porta come “l’ipotesi Ilaria” non sia in campo.

Ciliegina di giornata sul disastro è il caso Puglia. Non è passato giorno, dal momento in cui Antonio Decaro si è esibito nella sceneggiata anti-governativa contro l’ispezione ministeriale sulle presunte infiltrazioni mafiose nel comune di Bari, che non sia emerso un nuovo elemento a testimoniare come la situazione nel capoluogo e in Puglia in generale sia tutt’altro che depurata dal malaffare e dalla criminalità. Ieri, dopo le gaffes di Michele Emiliano sull’affidamento di Decaro alla sorella (incensurata) del boss Capriati e l’omicidio di un esponente del clan di Bari vecchia, è stata l’ora degli arresti per la compravendita dei voti e delle dimissioni di un’assessore della Giunta Pd in Regione. Uno scenario increscioso e politicamente grave che ha generato la più prevedibile delle dinamiche: la rottura delle primarie (e del campo largo) per il capoluogo di Regione da parte di Giuseppe Conte. Pronto, da volpone qual è, a lavarsene le mani ed ad approfittare degli imbarazzi dem per imporre il proprio candidato alla coalizione.

Un bel guaio, l’ennesimo, per la segretaria alle prese con gli effetti collaterale del “sistema Pd” con le orecchiette. E pensare che il duplex Emiliano-Decaro sarebbe pure avversario interno della Schlein. E questa che ha fatto? Invece di cogliere l’occasione per sbarazzarsene, è finita con il martellarsi gli attributi (figurati) da sola pur di difenderli. Che Tafazzi…

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