Transizione “strategica”, Green economy e modello circolare: storia del successo italiano
L’avvento della green economy e la rapida transizione dall’economia lineare – dalla produzione, allo scarto – all’economia circolare – dalla produzione, al riciclaggio dello scarto e al suo riutilizzo – hanno portato, in questi anni, a sviluppare nuovi prodotti e nuovi metodi di produzione, a ridefinire i servizi alla persona e alla comunità, ampliando l’offerta del sistema produttivo italiano, e a riposizionare le aree periferiche delle provincie italiane come centrali, proprio per il naturale ruolo di tutela e valorizzazione dei patrimoni territoriali. Come cercheremo di dimostrare, nel filone dell’economia circolare le innovazioni della transizione digitale ed ecologica, basate su architetture policentriche e reticolari, non sembrano affatto estranee al tradizionale modello di sviluppo italiano, fondato sulle reti di piccole e medie imprese e sulla forte identità delle aree locali, sulla cultura artigiana e contadina del risparmio e della parsimonia, sulla propensione all’innovazione, e soprattutto sulla storica partecipazione comunitaria allo sviluppo economico e sociale dei territori. E anzi è proprio l’integrazione tra le innovazioni ecologiche e digitali con la cultura della piccola e media impresa italiana, e con il senso di appartenenza delle comunità locali, ad aver determinato il successo italiano in diverse filiere dell’economia circolare.
Cultura del riciclo
E infatti l’Italia è fra i Paesi europei con le migliori performance, per la preparazione al riutilizzo e al riciclo dei rifiuti urbani e dei rifiuti di imballaggio. Secondo un recente Rapporto “Il Riciclo in Italia 2023” della Fondazione Sviluppo Sostenibile, in Italia il tasso di riciclo dei rifiuti, speciali e urbani, ha raggiunto il 72% (a fronte di una media europea del 58%), con punte di eccellenza per gli imballaggi: 10,5 milioni di tonnellate di imballaggi avviate nel 2022 a recupero di materia (erano 9,3 nel 2018), 2 punti sopra al target del 70% previsto dall’Ue al 2030.
Il Rapporto evidenzia le performance di 19 filiere del riciclo, con il riciclo degli imballaggi che ha mantenuto un buon andamento e i tassi di recupero dei rifiuti d’imballaggio si sono assestati ormai su livelli di avanguardia in Europa: carta, vetro e acciaio primeggiano con un tasso di riciclo dell’81%. Gli imballaggi in legno hanno aggiunto un tasso di riciclo del 63%, più del doppio rispetto al 30% previsto dall’ Ue al 2030, e il 97% del materiale legnoso riciclato in Italia viene trasformato in pannelli truciolari utilizzati dall’industria del mobile e dei complementi d’arredo. Gli imballaggi in alluminio hanno un tasso di riciclo del 74%, bel oltre il 60% previsto dall’Ue per il 2030, e in Italia si produce solo alluminio secondario da riciclo. Mentre il tasso di riciclo degli imballaggi in plastica è al 48,6% rispetto all’ obiettivo EU al 2030 del 50% e il tasso di intercettazione delle bottiglie in Pet è del 68% lontano dal 77% previsto per il 2030. L’Italia detiene il primato nel riciclo di rottami ferrosi in Europa (18,6 mln ton nel 2022) con il quali produce l’85% del suo acciaio. Situazione invece ancora critica per i RAEE con un tasso di riciclo del 34% contro l’obiettivo del 65% al 2019. Mentre sono buone le performances per gli inerti da costruzione e demolizione che hanno raggiunto un tasso di recupero dell’80% ben superiore all’ obiettivo del 70%; sono state avviate a rigenerazione, inoltre, 178 kt di oli minerali usati, pari a circa il 98% del raccolto rispetto al 61% dell’UE. Anche secondo il quinto e ultimo rapporto nazionale realizzato nel 2023 dal Circular Economy Network (www.circulareconomynetwork.it), l’Italia è il Paese più circolare d’Europa.
La classifica complessiva di circolarità nelle principali cinque economie dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna) è basata su sette indicatori: tasso di riciclo dei rifiuti; tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo; produttività delle risorse; rapporto fra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali; riparazione; quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo di energia; consumo di suolo. Anche per questa edizione, a guidare la classifica è l’Italia, che totalizza 20 punti. Seguono Spagna (19 punti), Francia (17), Germania (12) e Polonia (9). E solo per fare qualche esempio sul primato italiano, la percentuale di riciclo dei rifiuti nel 2020 è stata del 58% in Europa e del 72% in Italia, il tasso di riciclo più alto nell’UE.
Rispetto alle altre principali economie europee, l’Italia nel 2020 ha consolidato il suo primato, superando di circa 17 punti la Germania. Il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo (il rapporto tra l’uso circolare di materia e l’uso complessivo, cioè da materie prime vergini e materie riciclate). si è attestato per l’Italia al 18,4%, mentre nell’UE questo valore è stato in media dell’11,7%. Per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile utilizzata sul consumo totale lordo di energia, in testa c’è la Spagna (21,2%), seguita dall’Italia con il 20,4%.
Occorre considerare questi successi italiani nell’economia circolare con grande orgoglio e attenzione, anche perché realizzati senza clamore, passo dopo passo, da un’Italia ancora forte, laboriosa e comunitaria, dall’Italia dei tanti comuni e delle tante piccole imprese. D’altra parte la cultura dell’usa e getta non è mai realmente entrata nel vissuto profondo del nostro paese, lo ha certamente toccato e blandito con spot pubblicitari ormai remoti, ma certamente non è riuscito a penetrare l’atavica attenzione delle famiglie italiane alla conservazione, alla riparazione, al riutilizzo.
Lo sviluppo sostenibile o è locale o non è
Il successo italiano nelle diverse nuove filiere dell’economia circolare mostra sul campo quanto le tecnologie, digitali e ecologiche, che sono alla base delle attuali profonde mutazioni nei modelli di produzione e di consumo, se adattate alle specifiche identità economiche e sociali dei territori, da tempo basato sulle architetture reticolari dei distretti industriali e sulle logiche partecipative tipiche della piccola e media impresa italiana e della provincia italiana, possono costituire fattori di rinascita competitiva per il sistema produttivo nazionale. Un successo che dimostra che lo sviluppo sostenibile o è locale, di prossimità e porta a porta, vissuto e interpretato dalle comunità dei territori – imprese, cittadini, istituzioni – dei territori, oppure rischia di restare retorica da salotto .
Nel caso delle diverse filiere dell’economia circolare, il successo italiano si può individuare, come detto, nella sintesi tra le nuove tecnologie digitali ed ecologiche, basate su architetture policentriche e reticolari (si pensi alle comunità energetiche rinnovabili) e le caratteristiche intrinseche del tradizionale modello industriale e sociale italiano, ancora ricco di imprese di media e piccola dimensione connesse in reti e distretti industriali, e da tempo abituate a rispondere a segmenti della domanda sempre più personalizzati. E così il sistema industriale italiano, basato sulla strategia della differenziazione, sulle tante capacità industriali per la produzione di macchine utensili, ha trovato nello sviluppo dell’economia circolare un naturale mercato di sbocco. Si sta delineando nel caso delle diverse filiere dell’economia circolare, un modello tutto italiano per lo sviluppo sostenibile, certamente erede del modello della teoria Terza Italia e della storia dei distretti industriali, che si potrebbe definire comunitario: caratterizzato dalla concreta Partecipazione delle comunità locali lungo tutta la catena del valore, dalla raccolta del materiale, al riciclaggio, alla riparazione e al riuso, ove emerge, proprio per la capacità di integrare economia e ambiente, la cruciale importanza del capitale umano e delle strette relazioni informali tra capitale, territorio e lavoro.
Sentirsi parte di una filiera: un processo dinamico
Nello sviluppo italiano dell’economia circolare si delineano distretti e filiere sostenibili, che rientrano nel radicato concetto dei distretti industriali così come in quello del milieu innovateur (Camagni, 1995), fondate su quell’insieme di relazioni intra-aziendali e territoriali che vengono qualificate anche dalla capacità di tutti gli agenti (consorzi di filiera, imprese, famiglie, istituzioni) di sentirsi parte di un certo sistema locale o di una filiera, di cui si riconosce un interesse, distinto da quello di ognuno dei suoi membri, e che portano a una cultura che genera un processo dinamico localizzato di apprendimento collettivo. Quello che chiamiamo il suo capitale relazionale, fatto di attitudine alla cooperazione, fiducia, coesione e senso di appartenenza; un modello di sviluppo partecipato già osservato in diversi contesti del nostro paese – dalla mola all’agroalimentare, dalle macchine utensili alla robotica…- ed ora certamente presente nelle filiere dell’economia circolare.
La storica capacità italiana di riciclare e riutilizzare gli scarti appare oggi particolarmente rilevante, anche considerando la nostra dipendenza dalle materie prime critiche, fondamentali per le filiere hi-tech più legate alla transizione energetica e digitale. Ad esempio, per far fronte alla domanda crescente di batterie che aumenterà di 14 volte al 2030, si possono aprire nuovi e interessanti opportunità per l’industria italiana del riciclo, per aumentare le quantità riciclate di rame, litio, nichel e cobalto provenienti dalle batterie esauste; e in generale per assumere un ruolo dominante nel mercato europeo del cosiddetto Second Life di pannelli fotovoltaici, batterie al litio, inverter, pompe di calore.
Il modello italiano di sviluppo dell’economia circolare, che ha fondato la propria vitalità non solo sulle capacità tecnologiche ma anche, e a nostro parere soprattutto, sulla cultura della partecipazione di tutta la comunità delle filiere e dei territori, sta ancora mostrando capacità di apprendimento, di adattamento alla innovazioni e di flessibilità competitiva, e ci sembra pronto per affrontare le nuove sfide, soprattutto legate al riciclaggio e al riuso delle materie prime critiche.
Docente di economia dell’ambiente e del territorio, Università Guglielmo Marconi;
Membro del comitato scientifico del Pomos-Università La Sapienza;
Socio e membro del comitato scientifico della Fondazione Sviluppo Sostenibile;
Membro del comitato scientifico dell’Istituto Stato e Partecipazione