A Treviso Commedia cancellata: i segnali dell’antidantismo ci sono da tempo, ma tutti hanno finto di non vedere
Si comincia con il mettere Cucù al posto di Gesù nella recita di Natale e si finisce con la cancellazione di Dante dal programma degli alunni musulmani a Treviso. In mezzo ci sono decine di prodezze dei cultori della cancel culture, del politicamente corretto, dell’antioccidentalismo beota. Quelli che hanno offerto linfa al generale Vannacci per il suo j’accuse “Il mondo al contrario“. In mezzo c’è tanto per dire, la chiusura di una scuola per il Ramadan. Tra le tante perle da segnalare una riguarda anche la Rai, con la fiction su Guglielmo Marconi che diventa antifascista, uno che invece si dichiarava orgoglioso dell’Italia mussoliniana.
Ma occorre stropicciare la storia, come la letteratura, come i programmi scolastici, per adattarli al nuovo non-senso comune, che non è affatto comune ma stabilito da una cupoletta di snervanti intellò. Dante è offensivo? Non lo studi, anche se stai in una scuola italiana. Che problema ci sarebbe? Invece c’è eccome. Vuoi essere italiano? Studi quello che studiano gli alunni italiani. Problema risolto. Su Dante ora neanche il Pd, sempre teneramente schierato in difesa degli immigrati di seconda generazioni per cui si invoca lo ius soli, se la sente di dare addosso al ministro Valditara che vuole mandare a Treviso gli ispettori. Ma a ben guardare l’antidantismo viene da lontano.
Nella traduzione in fiammingo della Commedia, tre anni fa, a cura di Lies Lavrijsen, il personaggio di Maometto viene rimosso per non essere “inutilmente offensivi”, spiegò l’editore Blossom Books. I versi che Dante dedica a Maometto tendono a ridicolizzare il Profeta. E naturalmente vanno contestualizzati. Il che è certo meglio di una censura. Dante lo paragona a una botte sfondata, quel dannato gli appare aperto e spaccato dal mento fino all’ano, “da dove si scoreggia”. Gli si vedevano le interiora e anche il “sacco che trasforma quel che si mangia in feci”. I due si parlano e Maometto dice a Dante: “Osserva come è malmesso Maometto, tutto storpiato! Davanti a me se ne va in lacrime mio genero Alì, con il volto squarciato dal mento alla fronte”.(Ovviamente citiamo i versi in parafrasi). Maometto si trova nella nona bolgia, dove sono puniti i seminatori di discordie.
Ancora, dopo l’attentato alla sede di Charlie Hebdo nel gennaio del 2015 ripresero vigore anche le polemiche relative al Duomo di Bologna dove Maometto è raffigurato tra le fiamme, percosso da demoni feroci. Anche quello un affresco politicamente scorretto. Che entra a far parte della letteratura. Nel 2017 infatti in un romanzo di Valerio Varesi il protagonista, il commissario Soneri, segue le tracce di un maghrebino che a Parma va in biblioteca a studiare libri su Giovanni da Modena. E cioè il pittore responsabile dell’affresco di San Petronio dove Maometto sta all’inferno.
Un noir, quello di Varesi, calato in un contesto attualissimo, che è quello di molte città del Nord, dove la politica non sa fornire risposte ad un’immigrazione incontrollata, che si appropria dello spaccio e delle periferie guardandosi in cagnesco con gli italiani, alla faccia della bella retorica sull’integrazione. Sempre in quell’anno tra gli obiettivi sensibili e da tutelare per salvaguardarli dal fanatismo islamista rientravano sia la tomba di Dante a Ravenna sia il Duomo di Bologna.
Ci sono da tempo dunque i segnali di un confronto tra civiltà occidentale e Islam foriero di tempesta. Un confronto sempre risolto a sfavore di Dante. I rigagnoli di questo atteggiamento di autocensura di un’Occidente che si ritiene colpevole di tutto, persino di esistere, sono arrivati fino a Treviso. Nessuno stupore. Era prevedibile.