Chesterton, un cercatore della verità fuori dagli schemi a cavallo tra fede e ragione

29 Mag 2024 14:55 - di Marco Respinti
anniversario Chesterton

«Non sono le fiabe a trasmettere al bambino la sua prima idea del cattivo. Ciò che le fiabe trasmettono al bambino è la sua prima idea chiara che il cattivo sia possibile sconfiggerlo. Il bambino conosce intimamente il drago sin dal momento in cui ha avuto l’immaginazione. Ciò che la fiaba gli fornisce è un San Giorgio che uccide il drago»…

Chesterton, un battitore libero che ruppe gli schemi e sparigliò le carte

Molti, probabilmente troppi, definiscono lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) “eccentrico”. È il riflesso pavloviano del pensiero poco, altro che debole, quando si trova a corto di parole. Perché Chesterton era più centrato ed equilibrato della gran parte del proprio mondo e di quello che lo ha seguito, descritto perfettamente da parole che il poeta angloamericano T.S. Eliot vergò per altra occasione: «In un mondo di gente che fugge, chi si muove nella direzione opposta sembrerà scappare» (The Family Reunion, 1939, Parte II, The Library, after Dinner, Scena II). Si parva licet, concetto uguale lo esprime il gruppo rock italiano The Sun, passato dal melodic hardcore punk al cattolicesimo, nella canzone Outsider, del 2013: «Di questi tempi noto spesso/quanto le mie scelte vadan dritte ma all’inverso».

La sua “normalità anormale”

L’uomo comune di main street (o, meglio, di qualche viottolo rurale della Merry England): l’eroe chestertoniano è questo, con pregi e difetti, ma normale, benedettamente normale. Cioè nella norma, o che prova a rispettare la norma: la norma della natura di cui è fatto e che per questo, secondo una lunga ma spesso negletta tradizione culturale, si chiama natura normativa. Una sua frase, tanto ripetuta quanto probabilmente incompresa nel trionfo del transumanesimo, lo illustra a pennello: «Fuochi verranno accesi per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che in estate le foglie sono verdi» (Eretici, 1905). Fu nel 1927 che il manifesto di questa sua normalità anormale, Il profilo della ragionevolezza, vide la luce.

Chesterton a cavallo tra fede e ragione

Chesterton è stato un uomo della tradizione e lo è stato perché gli uomini della tradizione non sanno mai di esserlo. E soprattutto non lo dicono mai. Lo sono e basta. Inconsapevolmente, cioè (ancora) naturalmente. Vivono la tradizione e se ne fanno vivere, perché la tradizione scorre senza passare; si tramanda senza trapassare; si trasmette senza tradire. Essere uomo della tradizione per Chesterton ha significato onorare princìpi e da essi trarre valori: i primi come gold standard cui ancorare i secondi.
E i princìpi di Chesterton sono stati la fede cattolica (una volta avutala in dono) e il buon senso; la ragione e quella maestra infallibile benché a volte meretrice che è la storia.

Chesterton è stato per certo un apologeta: delle fiabe, per esempio, resto di quel mito primigenio che è scaturigine e riserva di salubrità intellettuale, quindi ovviamente del cattolicesimo. Ma prima ancora della ragione, e questo perché senza ragione non vi è fede che tenga. Chesterton lo capì per intero quando si convertì, nel 1922, ma il disegno gli era in pectore già chiaro persino prima, non fosse altro perché fu capace di pubblicare, nel 1920, un piccolo capolavoro qual è La superstizione del divorzio ben due anni prima di farsi cattolico. La verità, infatti, non è confessionale e, insegna Chesterton al mondo, non lo è nemmeno la fede universale, cattolica.

Chesterton, il gusto (e la cura) delle parole

Romanziere di buon gusto, poeta non eccelso ma sempre intrigante, giornalista con pochissimi pari, Chesterton ha accudito il senso e il gusto delle parole come fossero bimbi. Perché le parole sono fragili e insopprimibili come i bimbi. Maestro di scrittura e di retorica, ha trasformato la lingua inglese, firmandola con il sangue, convinto che ogni parola sia debitrice della Parola, ogni creazione della Creazione, la verità delle cose della Verità assoluta.

Un autore difficile da etichettare e incasellare

Si è occupato di mille cose perché lo appassionava tutto. E ciò che non lo appassionava, in realtà, non lo appassionava ancora per semplici questioni di tempo. Non in tutto ha primeggiato, e menomale. Era infatti solo un piccolo grande uomo, non un superuomo di cartapesta. Eppure di ogni argomento che ha trattato ha sparigliato le carte e rotto le righe. E quindi ha scandalizzato parvenu e parrucconi, don Ferrante e guru, nel suo tempo e oggi, continuamente. Sfuggendo a ogni schedario ed eludendo ogni incasellamento.

Per esempio in campo economico è stato, con altri, tra i propositori del cosiddetto “distributismo”, la cui natura autentica, fra virtù e limiti, al di là degli interpreti autentici non autenticati, la restituiscono al meglio forse alcune pagine e la logica di fondo di un libro divertente e serio qual è Hobbit Party. Tolkien e la visione della libertà che l’Occidente ha dimenticato (2014) di Jonathan Witt e Jay W. Richards. Così che il “distributismo” di Chesterton, alfiere della proprietà privata come diritto umano, era quello che diceva: «Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti» (The Uses of Diversity: A Book of Essays, 1920).

Un lucidissimo e profetico interprete della modernità

O come quando si cimentò con un’altra parola taumaturgica del nostro mondo usurato, rivoltandola come un guanto nel capitolo 4 di Ortodossia (1932), un capitolo stupendamente intitolato The Ethics of Elfland, cui ogni traduzione non rende mai giustizia fino in fondo: “«Tradizione significa dare il voto alla più oscura di tutte le classi sociali, ovvero ai nostri antenati. È la democrazia dei morti».
Ci manca Chesterton? Nemmeno un po’. Da più di un decennio è in corso un processo di beatificazione a suo carico che incontra diversi ostacoli. Se sarà coronato, bene, altrimenti pazienza. Chesterton, infatti, sta già bene là dov’è, patrono dell’uomo finalmente normale in un mondo subnormale, che per questo gli dà dell’anormale.

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