Conversazioni secolari. Andrea Scarabelli: «Leggete Evola e nulla sarà più come prima»
Fare l’agitatore culturale oggi è come essere un sommozzatore senza mari. Ma questi mari inesplorati e ineffabili solo i più attenti, i più accorti e i più audaci sanno dove trovarli e come sfidarli. Uno dei questi hai i piedi immersi nelle lettere meneghine e uno sguardo che scruta l’orizzonte passato, presente e futuro senza sosta. Parliamo di Andrea Scarabelli figura di culto che si muove tra la Fondazione J. Evola, Il Giornale, la casa editrice Bietti e mille altri anfratti. E proprio insieme a lui ci immergiamo in mezzo a queste insenature fatte di carta.
Scarabelli, una vita per l’editoria. Da Bietti fino alle innumerevoli collaborazioni intellettuali. Come si concilia l’opera di divulgatore con il Kali Yuga che stiamo vivendo?
Età oscure a parte, è vero che ho dedicato quasi metà della mia vita a quelle creature singolari chiamate “libri”, di cui in realtà sono curatore e traduttore più che autore. Riproporre un testo, uscito uno o più secoli fa, ha un significato particolare, permettendoci di essere contemporanei dell’autore che lo ha messo nero su bianco. È l’esercizio di una memoria viva, al di fuori di ogni retorica. Se ognuno di noi ha almeno tre dimensioni, una è certamente di carta, e «ogni libro pubblicato è un trionfo sull’oscurità», come disse una volta il Bibliotecario di Babele Jorge Luis Borges.
La sua collana editoriale per Bietti, l’Archeometro, ha accolto autori come De Benoist, Buscaroli, Solinas, Eliade, Céline e Pound. Un eterno ritorno di idee senza fine…
Proprio così. Sono tutte chiavi per riguadagnare il presente, analisi controcorrente che strutturano visioni del mondo ambiziose di dirsi all’altezza dei tempi. Spesso inattuali quando vennero formulate, guadagnano attualità con il passare del tempo e non credo possa esistere un destino migliore per un autore. Da qui la necessità di riproporli in curatele adeguate, in una collana che misura il rapporto tra ideale e reale, come suggerisce il suo titolo stesso, guénoniano.
In Minima Moralia, invece, edizioni tascabili per avvicinarsi ai grandi del pensiero…
Sono agili volumetti che permettono di dare alle stampe scritti brevi, incompatibili con i formati di una collana “standard”, ma anche trascrizioni di convegni altrimenti destinati a perdersi. Devo l’idea di questa collanina a Daniele Orzati, tra le persone più curiose che conosca, che crede alla realtà dell’immaginario e ai suoi studenti insegna storytelling usando una copia originale dell’enigmatica Hypnerotomachia Poliphili.
Torneranno le prospettive antimoderne di Antarès?
Torneranno perché non se ne sono mai andate. Abbiamo in uscita un numero monografico, molto corposo, dedicato alla simbolica nell’arte contemporanea, comprendente una trentina di interviste ad artisti che, invece di piegarsi a “impegni politici”, “attualità” o sciocchezze del genere, hanno scelto di tradurre sulle tele gli archetipi. Parlare oggi di “prospettive antimoderne”, tuttavia, è un po’ fuori tempo massimo. Qualche mese fa stavamo addirittura pensando di cambiare il titolo in “prospettive post-moderne”.
Ha da poco pubblicato Vita avventurosa di Julius Evola biografia pressoché esaustiva dell’opera e della vita dell’intellettuale romano. Come nasce la sua passione per l’autore di Cavalcare la tigre?
Una serata primaverile di una quindicina di anni fa, vita più vita meno, l’aria satura di un concerto di musica estrema. Un amico, che si chiama Riccardo Greco, mi consiglia Il simbolismo della croce di René Guénon, il testo che tuttora prediligo del metafisico francese, insieme a Gli stati molteplici dell’essere. E ci aggiunge Rivolta contro il mondo moderno: «Se lo leggi, nulla sarà più come prima». Non potevo immaginare, allora, quanto avesse ragione.