Giorgetti d’Italia: il ministro è “bonus” ma non è fesso. Conti a posto e niente sconti ai poteri forti

19 Mag 2024 7:35 - di Luca Maurelli

Con quel cognome da italiano medio il suo destino sembrava segnato: ragioniere del catasto a Cazzago Brabbia, un paesino sul lago di Varese nel quale la pesca sportiva è quasi più popolare del gioco del calcio e il bar del centro più autorevole di un’aula del Parlamento. Giancarlo Giorgetti, invece, sin da ragazzo aveva scelto di essere un po’ tutto, il provinciale che gioca e calcio e pesca, ma anche il ragioniere che si laurea e che magari finisce per fare il ministro dell’Economia negli anni in cui gli occhi dei mercati finanziari mondiali sono puntati sui conti italiani con le pupille fisse come i gufi reali siberiani, così diffuse dalle sue parti. Nella sua Padania, anzi, no, in Pianura Padana, anche se il lapsus non è geografico ma politico, visto che il Giorgetti, dopo gli iniziali passi non d’oca nei movimenti giovanili missini, la carriera politica l’ha fatta tutta nella Lega e non ha nessuna intenzione di mollarla. Anzi, quando c’è da far ragionare quel Salvini lì che tuona contro l’Europa degli speculatori, lui gli ricorda che i conti vanno fatti comunque con loro per non fornirgli assist.

Giorgetti, in fin dei conti, nonostante quella passionaccia per i “Saints” del Southampton, squadra di calcio britannica con cui scoppiò l’amore grazie a una squadra di Subbuteo a strisce bianche e rosse, si sente più italiano di Toto Cotugno. La sua indole, però, è quella del suo pesce preferito, il più diffuso nel lago di Varese sulle cui sponde si ritira a meditare sul Def, la Finanziaria e il Superbonus: il corecone, pesce furbo che tende a sfuggire alle classiche canne da pesca. Quelle dei poteri forti, per esempio, come le banche, a cui ieri ha fatto sapere che “i sacrifici devono farli tutti”, anche su quel devastante superbonus grillino su cui ha combattuto e vinto la partita più importante, spalmandone i rimborsi a data da destinarsi. Il corecone, dunque: un osso, anzi una lisca dura, con cui il Giorgetti Giancarlo si cimenta a volte per ore. “La pesca è un lavoro un po’ solitario in cui passi tante ore a pensare e poco a parlare”.

Poi, però, da ragazzo, s’è tolto gli stivali, s’è messo i mocassini e s’è andato un attimo a prendere una Laurea in economia aziendale alla Bocconi, a Milano. Ma sempre così, senza ostentare mai curriculum prestigiosi perfino in quel ministero che qualche anno prima aveva visto, grazie ai giochi della politica, salire sulla poltrona più alta un sindacalista con un diplomino in ragioneria. Lui, politico puro, ragiona da tecnico rigoroso, per questo a volte i media hanno difficoltà a collocarlo nelle beghe di partito.

Non mi piace apparire e non mi metto in prima fila. Sono convinto che quando la politica diventa schiava della comunicazione non si vada in profondità nelle cose. Questo vale anche per il giornalismo. Oggi si preferisce un tweet a ragionamenti e riflessioni, e questo penalizza l’approfondimento. Tutto diventa uno slogan“.

Da ex portiere di calcio, il Giorgetti ha il senso della posizione: il palo corto va difeso, quello lungo va adocchiato. Ma nella partita sulla voragine del “bonus 110”, che l0 ha visto contrapposto a Forza Italia (e al M5S), il ministro dell’Economia è dovuto uscire in presa alta, arrivando al punto da minacciare le dimissioni. Non perché l’Europa ce lo chiede, ma perché l’Italia ce lo impone. Le ultime proiezioni sul debito pubblico parlano di un buco che da qui al 2028 potrebbe superare quello della Grecia, e purtroppo, le prime due manovre firmate Giorgetti, oltre a spingere un’economia cresciuta più degli altri, hanno avuto come priorità quella di contenere un deficit creato dai governi giallo-rossi con Redditi e bonus a pioggia, senza alcun margine di intervento sul debito.

Vigila sui conti, prega, ama, è un po’ il motto di Giancarlo Giorgetti, che crede nel rigore, non solo economico, ma anche teologico, da grande ammiratore del defunto Papa Ratzinger, nei cui riferimenti alla Dottrina sociale della Chiesa lui si è sempre riconosciuto. Quando lo accusavano di colludere con “la finanza”, lui replicava – come Benedetto XVI – che c’è finanza e finanza. “Occorre adoperarsi perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche e lo siano non per un’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura”, spiegava Ratzinger nell’Enciclica “Caritas in Veritate“. E gli utili non vanno demonizzati ma valorizzati, se messi a disposizione anche della “umanizzazione”.

Oggi il ministro di Cazzago Brabbia si erge come un Zamora a difesa dell’integrità dei conti pubblici, è un Giorgetti d’Italia, un leghista mai rinnegato che però appare più patriota che padano.
Il futuro è dei giovani come lui, ma non diciamolo troppo forte perché sennò si monta la testa”, disse Umberto Bossi. La testa non se l’è montata ma nel frattempo quel Giorgetti lì ha fatto capire che lui sorride, dialoga, non urla e che è “bonus”, ma non è fesso.

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