Il saluto romano “immaginato” del candidato Mantovani. L’antifascismo ridotto a riflesso pavloviano
La sinistra italiana, si sa, non ha mai abbandonato l’antifascismo militante come elemento strutturante la sua dialettica politica: ma se prima lo scontro si basava su elementi concreti, ora è diventato una parodia di sé stesso. “La storia si ripete due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa” diceva Marx, e chissà che scriverebbe oggi il filosofo tedesco se potesse ancora parlare, se vedesse cosa è diventato il dibattito politico.
L’ultimo fatto degno di nota – se così si può dire –, è il comunicato della cuneese Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd e parlamentare, che sul social X ha tuonato con tono serio e preoccupato contro il ritorno della camicie nere. L’allarme democratico questa volta si situa a Tortona, durante la presentazione dei candidati a supporto del sindaco uscente Federico Chiodi, in vista delle imminenti amministrative dell’8 e 9 Giugno. Tra i candidati si presenta Andrea Mantovani, appartenente alla lista di Fratelli d’Italia, che salendo sul palco saluta il pubblico con un braccio, banale atto di educazione che dalla parlamentare piemontese viene tramutato immediatamente in un saluto romano.
“Un gesto disgustoso, come disgustosi sono stati gli applausi. C’è un clima orrendo. Il partito di Meloni e il candidato Sindaco prendano subito le distanze», questa la dichiarazione ufficiale di Gribaudo, prontamente messa in discussione dallo stesso Mantovani, il quale pubblica un video di smentita, dove si vede chiaramente che il saluto alla folla, lungi dall’essere un gesto goliardico, è una banale presentazione al pubblico presente.
Cosa rimane di questo episodio prontamente rivendicato dalla protagonista? Cosa si può dire di una politica che ormai è l’ombra di sé stessa, trincerata in una caccia al folklore, in una mistificazione della realtà per mascherare una mancanza di contenuti, sostenuti da un antifascismo militante spesso aggressivo e altre volte grottesco, come in questo caso.
Nell’epoca della società liquida alla Baumann, anche la politica lo è, “liquidata” e resa inconsistente dalla mancanza di riflessioni, dall’incapacità di un’azione che non sia reattiva, come in un continuo riflesso pavloviano, dal nome dello studioso russo che per primo studiò i riflessi nei cani, i quali erano stati abituati a salivare non solo in presenza del cibo ma anche in assenza di esso, dopo il suono di un campanello. Allo stesso modo la sinistra italiana è abituata a vedere pericoli dove non ci sono, e, quanto di più grave, a cercare nemici della democrazia dove non esistono, in uno scenario a tratti preoccupante per l’espressione del pluralismo e a volte francamente kafkiano.
In un’epoca dominata dal caro prezzi, dalla denatalità e dalla bassissima affluenza alle urne – specchio emblematico di una resa dei giovani alla partecipazione –, l’auspicio è che torni una politica che sia azione e non solo reazione, nella quale i partecipanti si confrontino sui temi e non sulle percezioni, a volte inesistenti come in questo caso. C’è solo da sperare che torni l’epoca delle riflessioni e non dei riflessi.