L’editoriale. Da Chico Forti alla tenuta sociale: l’Italia non lascia indietro nessuno

19 Mag 2024 8:58 - di Antonio Rapisarda

Alessia Piperno, Patrick Zaki, Ilaria Salis e ieri – finalmente – Chico Forti. Imprese difficili, sofferte: compiute. L’ultima, poi, ha una valenza storica: riportato a casa dopo un quarto di secolo. Morale della storia? L’Italia non lascia indietro nessuno. Non importa se si è di destra o di sinistra, se si è ricchi o poveri, giovani o non e nemmeno colpevoli o innocenti. Quando un compatriota è in difficoltà all’estero a causa del regime detentivo, statene certi, a Roma c’è qualcuno che non dorme: è a lavoro per non fargli mancare, fattivamente, la presenza dello Stato. Quando poi un governo fa dell’interesse nazionale la stella polare (principio offuscato, per lo meno nella lente con cui certa politica ha governato fra il 2011 e il 2022) la vicenda diventa non solo una questione giuridica ma una questione di Stato: perché si inquadra in quella dinamica dove al Fato, all’arbitrio, alla scelta personale si affianca la responsabilità di una Nazione nei confronti dei suoi cittadini. Per chiunque, ovunque e comunque.

Questo approccio, possiamo dirlo ormai con certezza, è perfettamente aderente al profilo che Giorgia Meloni ha voluto dare al suo governo. Una postura che non si manifesta soltanto per le vicende degli italiani incarcerati il giro per il mondo ma che contempla tutta la proiezione dell’esecutivo: con gli alleati nelle crisi internazionali, dunque nelle guerre in corso. Ma anche in Europa, come ha dimostrato il dibattito comunitario sui dossier energetici e di sicurezza. Ed ovviamente ciò vale sul fronte interno. In tutti questi scenari l’Italia in questo anno e mezzo è stata affidabile: nel mantenere la parola data, nel non cambiare orientamento a ogni piè sospinto per inseguire gli umori dell’opinione pubblica, nel tenere sempre in mente – non per ortodossia ma per etica e responsabilità nei confronti degli italiani – gli obiettivi strutturali in termini di bilancio. È così che si tengono insieme le due esigenze primarie: tutelare il proprio popolo e promuovere l’Italia nel “grande gioco”.

Ciò che emerge da questo combinato è un’Italia matura: rispettata dagli interlocutori perché, per prima cosa, è essa stessa a rispettarli per prima. Che siano i partner stranieri o i suoi stessi cittadini. Ed ecco che i risultati non tardano ad arrivare. Un metodo alimentato da fiducia e rispetto, senza alcun paternalismo, che paga all’estero a livello diplomatico (e qui si incrociano i destini dei nostri detenuti all’estero) ed economico: lo dimostrano le relazioni riagganciate dall’esecutivo con le monarchie saudite, con l’India e con l’Egitto dopo le disavventure dei governi tecnici e giallo-rossi. O gli ottimi uffici con la Casa Bianca. Un metodo che fa scuola: il protocollo Italia-Albania, ad esempio, è richiesto da mezza Europa. Stesso discorso per il memorandum con la Tunisia, per l’intuizione – il vero rovescio della piramide – del Piano Mattei per l’Africa e per il progetto di costruire una colonna euro-atlantica in grado di tutelare, a livello di difesa e deterrenza militare, gli interessi continentali.

La cura delle relazioni internazionali, come abbiamo visto, non è certo un mero esercizio di stile. È il canale che permette, a volte con scelte impopolari e spesso nel silenzio, di portare risultati sul fronte interno: lì dove la tenuta sociale, quel “nessun deve restare indietro”, è stata garantita poi da tutti gli interventi più importanti e costosi frutto delle leggi finanziarie, dagli investimenti e dalle prime riforme laburiste e fiscali. La risposta degli italiani e del sistema-Italia? Si pesa con il boom degli acquisti dei titoli di Stato, con la riemersione nel mondo del lavoro di tanti (ex) rassegnati, con i dati dell’occupazione e dei contratti a tempo indeterminato e – politicamente – con le vittorie in serie (8 a 1 nelle Regioni) della coalizione di governo. Segno che la navigazione stabile e ben indirizzata, dopo i marosi degli esecutivi arlecchino, è percepita come un’assicurazione a ogni latitudine geografica e sociale. Quando vi chiedono allora “a cosa serve il premierato?” rispondete pure: a garantire, anche domani, tutto questo.

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