L’editoriale. Ma quale maggioranza “arlecchino”: il Rinascimento europeo è a destra (o non è)
L’aspetto singolare di certa narrazione (cosiddetta) “ufficiale” è che certuni credono davvero a quello che scrivono: ad esempio quando immaginano da mesi il percorso di una fantomatica normalizzazione della leadership di Giorgia Meloni in vista delle prossime Europee. Per essere chiari: i giornaloni pensano davvero che la premier si sia convinta, o peggio ancora arresa, al fatto che la Grosse Koalition in salsa europea sia l’inevitabile a cui dovrà in qualche modo sottostare. E che il suo percorso obbligato sia quello di emanciparsi dai compagni di viaggio conservatori. Pena, lo ripetono allo sfinimento, il proverbiale «isolamento europeo, bla, bla, bla…». Nulla di nuovo: si tratta degli stessi commentatori che teorizzavano la nuova crisi dello spread con l’avvento del destra-centro a Palazzo Chigi (e invece è sceso come non avveniva da un decennio); o lo stigma per l’eredità «del post-fascismo» (e invece il governo ospita il primo G7 a cui interverrà persino il Papa); e ovviamente pure la rovina dei conti pubblici per le spese «populiste» (e invece il deficit fuori controllo è tutta responsabilità del Superbonus giallo-rosso). Insomma, non ne hanno azzeccata una.
Cosa è accaduto ieri a Madrid? Ancora una volta: l’esatto opposto delle previsioni di cui sopra. Meloni non solo ha preso parte a “Viva24” la manifestazione di Vox (c’era, sempre fra i giornaloni, chi assicurava il forfait) ma, seppur in collegamento video, ha pronunciato un discorso che più chiaro, davvero, non poteva. Un ritorno dopo il celebre intervento di «Yo soy Giorgia», datato 2021, in cui tanto è cambiato ma non nel verso profetizzato dai soliti noti: «Dicevano che non saremmo mai diventati credibili abbastanza per contare, per essere decisivi». Sappiamo com’è andata. E allora l’abbraccio con Vox è quello di una leader di governo per un nuovo governo Ue che intende chiudere la stagione del vincolo esterno e del Superstato. Perché la strada per la «sovranità europea e l’autonomia strategica» passa dalla ricetta opposta: il protagonismo delle Nazioni. «Siete l’unico futuro possibile per l’Ue», così la premier ha salutato la platea del partito di Santiago Abascal, infiammandola con l’appello al «Rinascimento europeo» a cui è chiamato il «motore» conservatore. Il momento è «decisivo»: «Per la prima volta l’esito delle elezioni europee potrebbe sancire la fine di maggioranze innaturali e controproducenti».
Per Meloni è tempo di un’Europa che pensi a difendere la produzione «dalle politiche suicide» della svolta green, le imprese dall’arbitrio delle regole «che valgono solo per loro», la natura «con l’uomo dentro», la natalità contro la disumanizzante pratica «della maternità surrogata». Uno spartito che a suo avviso, infatti, può essere interpretato solo dal destra-centro: di cui l’Italia è il laboratorio per eccellenza. Ossia da una formula di governo realista e produttivista, sociale e popolare, ecologista ed equilibrata. Tutto l’opposto della vecchia maggioranza Ursula, «di una legislatura europea 2019-2024 contrassegnata da priorità e strategie sbagliate». Quella che ha permesso a socialisti e verdi di schiacciare il grosso del Ppe imprimendo con il Green Deal la più anti-sociale delle riforme per i ceti medi europei e per l’impianto manifatturiero e industriale di tutto il Continente. Senza dimenticare, poi, tutte le misure dirigiste, che hanno depresso interi settori, e quelle del “dirittismo” spinto, sulla propaganda libertaria ed Lgbt, che invece di tutelare le minoranze hanno contribuito a lacerare nel profondo la società europea.
A tutto questo, a un Continente «stanco, remissivo, viziato», Giorgia ha detto basta: «È il tempo di alzare la posta in gioco», di costruire, «non sperare», un’Unione «diversa e migliore di quella di oggi». E questo, lo ha fatto capire senza mezzi termini, è assolutamente impossibile con una sinistra europea «principale responsabile di quel declino». Risposta forte e chiara della leader di Ecr a chi pensa di poter annacquare il progetto dei Conservatori nel recinto delle maggioranze “arlecchino”. E soprattutto a chi immagina di poter frenare la spinta al cambiamento che ribolle in tutti i popoli d’Europa con un anti-storico “arco costituzionale” contro le destre. Certo, a Bruxelles l’Italia giocherà all’attacco in ogni circostanza: ci mancherebbe. E così è già andata in questo scampolo di legislatura, con risultati storici nella ridefinizione delle politiche di contrasto all’immigrazione, di quelle energetiche e di quelle agricole. Figuriamoci adesso, con un commissario indicato dal governo e un’onda lunga della destra destinata a mutare gli equilibri nel Consiglio europeo. La partita, insomma, si fa estremamente interessante. Inizia un nuovo campionato. L’Italia, finalmente, torna a giocare per portare a casa l’intera posta in palio: e che ci riesca è interesse di tutti. E se si parla di Rinascimento gli italiani sanno bene, molto bene, cosa fare.