Oswald Spengler, il più grande poeta tedesco: parola di Kerouac. L’ammonimento che l’Occidente non può ignorare
Click boom. La detonazione è un meme che pende davanti ai nostri occhi. Sfondo nero e un’immagine bianca che appare. La scritta è inequivocabile. We are doomed ovvero siamo condannati. Il profeta di queste parole: Oswald Spengler. Ecco il primo incontro con il filosofo de Il tramonto dell’Occidente pubblicato all’indomani, in due tomi, della Prima Guerra Mondiale. Il 29 maggio del 1880 nasceva a Blankenburg, in Sassonia, e nulla rimase più come prima. Jack Kerouac in una lettera indirizzata ad Allen Ginsberg lo definì come il maggior poeta tedesco della storia. Henry Miller fece esplodere la sua ossessione ossessionante verso il sesso, collegato agli effetti della globalizzazione, in Tropico del Cancro dopo aver letto dell’imbrunire spengleriano.
La lista di autori e politici che non lo apprezzarono è lunga, accomuna Benedetto Croce e Adolf Hitler; mentre Benito Mussolini intervenne in prima persona per far editare in italiano il primo testo prettamente politico di Spengler: Anni decisivi. Tra i due si instaurò una sorta di affinità intellettuale. Nelle considerazioni sul cesarismo il Duce rivedeva la sua parabola e utilizzò le posizioni antinaziste dell’autore nel corso della sua politica antitedesca. Aiuta ricordare che il pensatore morì a neanche 56 anni nel 1936. Gennaro Malgieri nell’introduzione al saggio riedito, in anni recenti, da Ciarrapico Editore, nella presentazione scrisse: “Chi si sente di contraddire oggi quel severo professore di Monaco che ammoniva l’Occidente a guardarsi dall’alleanza delle classi bianche, cosiddette proletari, con quelle razziali, cosiddette sfruttate, emergenti o in via di sviluppo? L’Africa e l’Asia sono là ad impartire una lezione di realpolitik a quanti non hanno creduto opportuno dare ascolto a Spengler”.
In Italia oggi, principalmente, resiste la concezione messa in piedi da Furio Jesi che vede le convinzioni spengleriane come protonaziste legate al concetto di “idee senza parole”. Una visione però mobilitante capace di ricordarci, sempre e per sempre, che tutto quello che ci serve per disegnare l’avvenire è scritto dentro le nostre radici piantate nel futuro. Idee senza parole è una riproduzione tanto semplice quanto millenaria, consapevole di spingerci verso l’interiorità di un DNA europeo intramontabile. Marcello Veneziani sottolinea però che non parliamo di apocalissi, ma di compimento. “L’Occidente tramonta compiendosi, nelle braccia della globalizzazione. Egli concluse la sua opera nel segno del fatalismo eroico”. In Spengler troviamo l’eterno scontro tra oro e sangue dove quest’ultimo è ogni volta più “forte dello spirito”.
L’inchiostro può agitare e quello inserito ne L’uomo e la macchina. Contributo ad una filosofia della vita è un giuramento da scrutare come bussola per orientare i passi in direzione eterno ritorno. “Dovere tener fermo sulle posizioni perdute, anche se non c’è più speranza né salvezza”. Tremendo ghiaccio che brucia. “Tener fermo come quel soldato romano le cui gambe furon trovate a Pompei davanti ad una porta: egli morì perché quando scoppiò l’eruzione del Vesuvio, si dimenticò di rilevarlo dal suo posto”. L’assordate silenzio della civiltà. “Questa è grandezza, questo significa avere razza”. Il buio rotto dall’accecante luce. “Questa onorevole fine è l’unica che non si può togliere all’uomo”. Possiamo quindi ambire a ogni destino purché sia il nostro. E nelle lettere di Oswald Spengler troviamo l’atto politico di Friederich Nietzsche.