Sport. Da Pantani a Pogacar: a Oropa un’impresa “mistica” nel nome del Pirata
Il Santuario della Madonna nera di Oropa non è un posto qualsiasi. È lo scenario mistico di formidabili miracoli sportivi, di imprese ai limiti dell’umano, di consacrazioni all’immortalità di atleti nati, e a volte anche morti, per restare campioni per sempre. Maggio non è un mese qualsiasi nella storia del ciclismo: è quello dell’anniversario dell’impresa di Marco Pantani proprio qui, a Oropa, nel maggio del 1999, quando dopo un salto di catena mangiò letteralmente le ruote di 49 ciclisti in appena 8 chilometri e mezzo di salita, li rimontò e mise la bicicletta davanti a tutti.
Ieri, 5 maggio 2024, Tadej Pogacar ha vinto da solo, da cannibale, dopo una caduta da corsi e ricorsi storici, celebrando da campione la memoria di Marco, l’immortale, in mezzo a centinaia di striscioni per Pantani, bandane gialle, commoventi attestazioni di stima e una idolatria che non spiega abbastanza cosa abbia rappresentato la vita, e la morte, di questo atleta per gli Italiani.
Il Pirata non era un ciclista come gli altri, non lo sarà mai. Aveva le stimmate dello scalatore, quella fame che ti divora dentro, tipica di chi è cresciuto senza aspettarsi troppo dalla vita e vede nello striscione del traguardo un meraviglioso punto d’arrivo, una rivincita. Pantani guardava la vetta, fosse l’Alpe d’Huez, il Mortirolo o appunto il Santuario di Oropa, e partiva: mulinava sui pedali e saltava gli avversari come birilli. A testa bassa, senza schemi, facendo quello che sapeva fare meglio, cioè scalare le montagne e piombare giù come un pazzo in discesa. Poca tattica, puro istinto. Marco era quel tipo di ciclista che non esiste più, che ha lasciato il calco sulle strade del Giro e del Tour, che ti frulla nel cervello ogni volta che la strada comincia a salire, che ti fa dire: “pensa qui, se ci fosse Pantani”. Pantani c’era, eccome.
C’era anche quella mattina a Madonna di Campiglio, cinque giorni dopo Oropa, quando le sue analisi vennero probabilmente alterate e qualcuno decise di spegnere l’interruttore e il sorriso, forse per lucrare sulle scommesse piazzate su chi non avrebbe mai e poi mai potuto vincere quel Giro. Forse. Quella volta non c’era il Galibier da domare sotto la pioggia: nessun Ulrich, nessun Jalabert, nessuna rimonta impossibile, nessuna bandana da gettare a terra a pochi chilometri dal traguardo. Quella volta c’erano fango e delinquenti, denaro e affari, fantasmi vigliacchi che non puoi sconfiggere in bicicletta, neanche se ti chiami Pantani, neanche se hai altre tappe davanti a te; perché i fantasmi ritornano, non ti lasciano mai solo, ti tormentano. Fu il salto di catena decisivo, quello che non ti lascia scampo. A Marco fu fatale, al ciclismo di più. Eppure l’eternità di un mito sta tutta lì, in quell’espressione da bambini davanti alla televisione, al primo cavalcavia di un grande Giro, che ci fa esclamare ogni volta: “Ah, se ci fosse stato Pantani”. E vederlo scattare, anche in mezzo ai fantasmi, lasciandoli indietro come birilli. A Oropa, 5 maggio 2024, siamo stati in tanti a cacciare indietro le lacrime, guardando Tadej e vedendo la sagoma di Marco, pelato e senza bandana, in trionfo dinnanzi alla Madonna nera. Ah, se ci fosse ancora Pantani.