Superbonus, dati choc: con i soldi buttati via dai grillini si potevano costruire un milione di case
Fino ad ora il Super Ecobonus 110% è costato alle casse pubbliche 122,6 miliardi di euro di detrazioni fiscali. Ebbene, se lo Stato, anziché finanziare quasi esclusivamente l’edilizia privata, avesse investito queste risorse (pari a oltre 6 punti di Pil) per realizzare alloggi pubblici ad un costo ipotetico di 100mila euro cadauno, potremmo contare su 1,2 milioni di nuove unità abitative. Pertanto, in linea puramente teorica, avremmo potuto demolire tutte le 800mila case popolari presenti in Italia, molte delle quali versano in condizioni fatiscenti, e ricostruirle con tecniche innovative e con classi di efficienza energetica elevate. Grazie a questa operazione disporremmo di 400mila alloggi pubblici in più di quanti ne contiamo adesso. Insomma, investendo tutte queste risorse nel social housing avremmo in massima parte risolto l’emergenza abitativa che colpisce, in particolare, le fasce sociali più deboli del nostro Paese corrispondenti, secondo il Censis, a 3,5 mln di persone. E’ quanto sostiene l’Ufficio Studi della Cgia sottolineando che “altro non è che una provocazione” che “tuttavia dà l’idea di come, attraverso il Superbonus, lo Stato abbia speso con una certa ‘leggerezza’ una cifra ingentissima destinandola soprattutto alle persone più danarose”.
I danni del Superbonus alle casse dello Stato
Il Superbonus, sino ad ora, rileva la Cgia, “si è comportato come un Robin Hood al contrario: ha tolto ai poveri per dare ai ricchi. Con una spesa di oltre 122 mld, nei prossimi anni sarà molto difficile far quadrare i nostri conti pubblici, pregiudicando la possibilità di reperire nuove risorse aggiuntive da destinare alla sanità pubblica, all’edilizia sovvenzionata e per contrastare la povertà e l’esclusione sociale. Settori, quelli appena citati, di primaria importanza, perché costituiscono l’asse portante del nostro welfare che, in massima parte, è chiamato a sostenere le persone meno abbienti dal punto di vista economico e sociale”.
Anche la Corte di Conti, rileva la Cgia, “ha avuto modo di denunciare come le risorse impegnate per il cosiddetto 110% abbiano interessato, in particolare, le persone più benestanti. Secondo la magistratura contabile, infatti, le detrazioni per il risparmio energetico estrapolate dalle dichiarazioni dei redditi Irpef relative all’anno di imposta 2021 hanno interessato il 5,6% dei contribuenti con meno di 40mila euro di reddito e il 37% circa di quelli con oltre 150mila euro. Insomma – con un costo spaventoso per le finanze dello Stato che, in massima parte, ha avvantaggiato i più ricchi – il Superbonus è diventato una misura dai contorni ‘surreali’, se non fosse, purtroppo, che a pagare il conto nei prossimi anni saranno chiamati a rispondere tutti gli altri, in particolare le fasce sociali più deboli. Queste, infatti, non potranno beneficiare di risorse aggiuntive a sostegno delle principali misure di welfare state; in quanto il nostro debito pubblico, a seguito della generosità di questo provvedimento, è destinato ad aumentare, di un ulteriore punto tra il 2024 e il 2026, arrivando così a toccare il 137,7%del Pil”.
La follia dei grillini, nello studio della Cgia di Mestre
Chi politicamente ha voluto e continua difendere questo provvedimento, sottolinea la Cgia, “sostiene che non si debba guardare solo alla spesa che lo Stato si è fatto carico fino ad ora, ma anche agli effetti economici positivi che esso ha generato. Vale a dire più gettito (Irpef, Ires, Iva, etc.), più occupazione, più Pil, più risparmio energetico e meno emissioni di inquinanti. E’ un’obiezione corretta che, tuttavia, è facilmente confutabile dalla posizione tenuta dalla Cgia; se invece di ricorrere al Superbonus per incentivare quasi esclusivamente gli interventi di edilizia privata ci fossimo avvalsi di questa misura per costruire/rifare solo gli edifici residenziali pubblici, le conseguenze appena richiamate dai “sostenitori” del 110% sarebbero state praticamente le stesse. Con una differenza sostanziale: nel secondo caso avremmo compiuto un’azione di giustizia sociale che la misura attualmente in vigore ha paurosamente disatteso”.
Anche i risultati ottenuti dall’incentivo fiscale in oggetto, rileva la Cgia, “sarebbero stati molto modesti. Ancorché non ci siano valutazioni scientifiche rigorose sotto il profilo ambientale, l’abbattimento delle emissioni di CO² sarebbe molto contenuto. Sempre secondo la Banca d’Italia, le prime evidenze dimostrerebbero che nello scenario migliore i benefici ambientali del Superbonus compenserebbero i costi finanziari in quasi 40 anni. In termini strettamente economici, invece, tra il 2021 e il 2022 gli investimenti in edilizia residenziale sarebbero aumentati del 60%. Sebbene non sia possibile quantificare l’incidenza degli incentivi fiscali su questo incremento, va ricordato che la quota sul Pil nazionale del settore delle costruzioni è poco meno del 6 per cento (prezzi correnti). Tuttavia, il contributo del Superbonus alla crescita della ricchezza del Paese in questo biennio non dovrebbe aver superato gli 1,8 punti, di cui 1,2 nel primo anno (su 7 punti di crescita totale) e circa 0,7 nel 2022 (su 3,8 punti complessivi). Il numero degli occupati nel settore in questi ultimi anni, invece, ha subito un deciso aumento. Non poteva essere altrimenti, con un investimento di oltre 122 miliardi di euro abbiamo ‘drogato’ il mercato, facendo esplodere la domanda e, conseguentemente, anche la platea degli addetti in edilizia. Tuttavia, ora che il ricorso al Superbonus sta “scemando”, gli occupati di questo settore stanno diminuendo”.
Nessuna partecipazione dei beneficiari ai costi…
Grazie all’agevolazione fiscale del 110%, rileva ancora la Cgia, “è stata pressoché eliminata qualsiasi forma di partecipazione dei beneficiari al costo. Venuto meno il contrasto di interessi tra cliente e costruttore, questa situazione, affiancata anche dagli effetti legati alla ripresa post Covid, ha contribuito ad aumentare a dismisura i prezzi delle materie prime e dei prodotti/servizi correlati, con una ricaduta sui costi di costruzione degli edifici residenziali del tutto ingiustificata, con conseguenze molto negative anche sugli appalti pubblici. L’impennata dei costi di moltissimi materiali sta imponendo una revisione dei prezzi per un gran numero di opere pubbliche già cantierate, causando alla Pubblica Amministrazione non poche difficoltà ad adeguarsi per il deciso aumento del costo dell’opera e in molti casi provocando il rallentamento o addirittura la sospensione dei lavori nei cantieri”.