All Eyes on Saviano: storia tragicomica di una censura immaginaria e del circolettismo terminale

2 Giu 2024 8:05 - di Andrea Venanzoni

«Tanto peggio per i fatti», una frase iconica e simbolo perfezionato della prevalenza di un approccio ideologico alla realtà. Variamente attribuita a Hegel, cui si faceva notare che la Natura non presentasse poi grande concordanza con la filosofia hegeliana sulla natura o a Fichte ma la cui unica vera attestazione scritta ci viene da una lettera di Darwin, e che oggi sembra divenuta il vessillo araldico di una sinistra disperatamente alla ricerca delle prove tecniche di regime, della censura e della deriva autoritaria, nonostante la realtà dei fatti.

Un continuo starnazzare, un ridicolo berciare di mancanza di libertà, un mantra, un caotico rumore di fondo che ormai lambisce il dadaismo politico, visto che gli strepitanti poi, gira e rigira, stanno sempre in TV, sui giornali e alle radio a lamentarsi di essere stati silenziati e di non poter celebrare il loro genio rivoluzionario. L’ultimo caso in ordine di tempo, ma di certo non sarà l’ultimo, è la mancata presenza di Saviano alla prestigiosa Fiera libraria di Francoforte, la Buchmesse, Mecca della intellettualità, del mondo editoriale e di chiunque lavori nel rutilante settore della produzione libraria. E già qui, la vulgata snuda una non verità: perché Saviano a Francoforte in realtà sarà presente.

Gli alti lai di censura, inaugurati proprio dall’autore di Gomorra, originano dal suo non essere stato invitato dall’Italia e di non fare parte del listone dei cento. In questo scacchiere geopolitico-librario vi sono delle regole, ricostruite in maniera cristallina su Il Foglio alcuni giorni fa in un articolo a firma di Salvatore Merlo: nessuna censura, nessun veto, semplicemente Saviano non è stato invitato perché non rientrante nella policy adottata dai suoi stessi editori. D’altronde, come ricorda Paolo Mieli, il listone dei magnifici cento è in stragrande maggioranza pescato a mani basse dall’area sinistra dello spettro politico e il Commissario Mauro Mazza aveva buonissime ragioni dalla sua nella precisa difesa della presunta e lamentata esclusione di Saviano che poi non è esclusione nemmeno per sogno ma solo libera scelta editoriale.

E qui però si apra una parentesi con nota per il Commissario Mazza che pur stando dalla parte del giusto, del giustissimo, finisce poi per alimentare ulteriore caso e caos re-invitando il Saviano furioso. Il bel gesto era inutile, come pure il tardivissimo pentimento di uno degli editori di Saviano. Gli si sarebbe potuto opporre un sereno «cari miei, avreste potuto pensarci prima». Anche perché adesso, di cento autori italiani, o di quel che ne rimane dopo le defezioni, non si parla che di Saviano. Bel colpaccio. Ne saranno entusiasti gli altri autori e le loro case editrici. Come pure si sarebbe potuto evitare di ammantare di una qualche dignità di “levata di scudi” il circoletto recalcitrante che con pieno spirito da mob culture si è aizzato a vicenda per creare imbarazzi al governo ostile, mica per difendere Saviano che non ha nessuna esigenza di essere difeso visto che non si fa che parlare di lui.

Ma chi sono questi rivoluzionari da salottino? Credono di essere il redivivo Manifesto degli intellettuali antifascisti ma sono semplicemente “The Human Centipede” delle patrie lettere. Imbevuti di una meccanica di precisione nutrita e sostenuta a colpi di comunicati indignati, lettere aperte indignate, interviste indignate, sono talmente schiacciati autoreferenzialmente l’uno sull’altro da essere divenuti un equivalente sballato di un Uroboro, il serpente alchemico che divora la sua stessa coda. Circolettismo terminale, amichettismo da Circle Jerks, groupie del rosso sol dell’avvenire, ma più che nei territori sondati da Tom Wolfe qui siamo in una cameretta snob di burroughsiani smerda-tori.

Paolo Giordano ha piagnucolato la sua offesissima posizione. Se non c’è Roberto, io non sono della partita. Da rispondergli con una nota espressione, divenuta meme, di Paolo Panelli usata nel film “Grandi Magazzini”. A Scurati invece non pareva vero di intrecciare la propria censura con quella di Saviano. Two censure immaginarie is meglio che one, avrebbe notato Accorsi ai tempi di un noto spot di altrettanto noto gelatino. Scurati, reincarnato Matteotti catodico, ha così dato vita ad una titanica lotta di Ego, modello Godzilla contro Gamera, con il buon Saviano. «La mia censura è più grossa della tua», da leggersi rigorosamente con la voce di Rick Moranis in ‘Balle spaziali’.

Francesco Piccolo si è indignato tantissimo e non ha potuto resistere dal fare quel che gli viene meglio, scrivere una indignata e lacrimevole lettera a Repubblica, nella quale ci comunica che addirittura aveva accettato il verdetto delle urne e che in Italia potesse quindi esserci con qualche legittimità un governo di destra, equivalente intellettuale del “premesso che ho tanti amici (aggiungere a piacere minoranza del caso)”. Fuggito in sostegno al povero Saviano, pure Sandro Veronesi. Furente e scrivente la sua furia democratica sul caso, Nicola Lagioia. Sì, quel Lagioia, esattamente quello che al Salone del Libro da lui diretto davanti ai contestatori e alla ministra Roccella assunse una posizione alla Aldo, del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, in “Tre uomini e una gamba”, “non posso né scendere né salire, né scendere né salire”. Eclissandosi poi alla chetichella quando una qualche decisione si sarebbe imposta, essendo il direttore, e lui allora decise di fuggire e di fingersi defunto come un opossum della Virginia.

Questi arditi del popolo (delle lettere) dal calduccio confortevole dei loro studioli, delle loro case editrici, degli uffici dei loro giornali e delle mostre e dei festival e degli eventi che sono chiamati a curare, in genere da loro stessi, non lasciano mica andare quel fiume goloso di polemiche e di erotismo resistenziale e di marketing politico e di indignazione effettiva permanente. Quei lucori sballati di derive autoritarie, quello spleen di prove tecniche di regime, quella sensualità di censura evocata talmente tanto a sproposito da farle aver perso ogni sostanza e fisionomia, quel mantra primordiale di fascismo ritornante ed eterno. Saviano è stato censurato? No. Scurati è stato censurato? No.

Lo dicono editori, redattori, giornalisti, carte, e più in generale i fatti emersi nella loro nuda e luminosa consistenza ma chissenefrega dei fatti, no? Più importante è tenere viva la brace della lagnosa fumisteria che permetta di stare sempre sulla cresta dell’onda, ad abbronzarsi di socialmente consapevole e politicamente impegnata verve, anche se questo non è “Un mercoledì da leoni” ma una roba che finisce sempre in -oni. Non c’è alcuna amicizia virile, non c’è il surf e il Vietnam al massimo è il prossimo treno che prendono direzione incontro con i lettori resistenti a cui venderanno il loro ultimo parto editoriale nel nome della libertà, della Costituzione antifascista e soprattutto del tengo famiglia.

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