“Belli ciao…”, i guardiani della partitocrazia. Ci pensa la destra a promuovere l’articolo 1
L’ultimo che ha provato a spiegarglielo, non senza un moto di sconforto, è stato Massimo Cacciari: «Pensare che qui da noi bastino l’antifascismo e “Bella Ciao” è patetico». La risposta di Elly Schlein & co? La “mezza” piazza (qualche centinaio i presenti raccontati qui dal Secolo) di ieri in piazza Santi Apostoli contro il premierato e l’autonomia differenziata, con l’invocazione proprio della lotta al fantasma del fascismo come unica ragion politica di quella che è stata e rimane una non-coalizione. Eh già: da quelle parti non riescono proprio a pensare a qualcosa che somigli a un’alleanza programmatica, a una visione di società, che non si esaurisca nella retorica antifascista fischiettando “Bella ciao”. Via dunque alla «patetica» riproposizione dell’uguale: almeno fin dalla disastrosa campagna elettorale per le Politiche 2022. Quella che come “brillante” risultato non ha certo sbarrato la strada del governo della Nazione, per la prima volta della storia repubblicana, agli eredi del Msi-An. Con una donna alla guida di Palazzo Chigi, anch’essa per la prima volta nella storia della Repubblica.
Beffa nella beffa che certifica come la sinistra italiana stia vivendo da anni un giorno della marmotta nel quale si risveglia sempre al punto di partenza. Con un incubo in più: ciò non vale per la destra, che invece sviluppa e accresce il proprio progetto sociale (FdI, forza interclassista, è il partito più votato dagli operai) e politico (le riforme strutturali) in Italia e in Europa. E, come dimostra il caso francese, dall’Italia al resto Europa. Mentre nell’altra sponda, parola di Stefano Folli su Repubblica, il campo largo – elezione dopo elezione – si è ristretto in un «campetto». Sempre più rosso perché senza centro (vittima della rissa perenne fra Carlo Calenda e Matteo Renzi) e sempre meno “giallo”: dato che il M5S è stato cannibalizzato dal Pd. E l’unica reazione che i grillini conoscono, davanti a una difficoltà, sarà sempre quella: il «Vaffa».
A poche centinaia di metri da Elly & co, la destra di governo – compatta e rafforzata dal responso elettorale delle Europee – procedeva invece in Parlamento con il primo storico «sì» al suo progetto di rigenerazione istituzionale. Proposta, il premierato, che ha il suo punto forte nella difesa e nella promozione del diritto fondamentale, scolpito nell’articolo 1 della Costituzione: la sovranità popolare. Nel concreto: niente più ribaltoni, partitocrazia, giochi di Palazzo, esecutivi tecnici, governi stabiliti “nonostante” la volontà popolare. Tutto ciò garantendo, allo stesso tempo, stabilità e rappresentatività. Una democrazia decidente e moderna, non più ingolfata dall’ossessione del “particulare”, al passo con la competizione internazionale che richiede governi capaci di stare sul pezzo.
Tutto questo sviluppato insieme ad altre riforme attese da tempo: la piena applicazione dell’autonomia differenziata (appena diventata legge nonostante la gazzarra dell’opposizione. Strano per un principio iscritto nella Carta proprio grazie alla sinistra: smemorata?), una giustizia “giusta” che garantisca sempre e comunque la terzietà del giudice, un fisco “con l’anima” a servizio del cittadino e delle imprese e non più il contrario. La messa a terra di un progetto così ampio e articolato non è possibile senza una coalizione unita e armonizzata. Ma tale coalizione non può esistere se non rispecchia la vocazione di un popolo che ne rappresenta l’elemento vivificante.
A sinistra? Oltre la grottesca (e divinatoria) “piazzata rossa” contro il diritto a governi eletti direttamente dal popolo non si va. Passano i leader, passano le stagioni ma si resta intrappolati nella fase dialettica: ossia dalla rissa continua su leadership, perimetro, regole. Questo senza considerare le contraddizioni endemiche: con il Pd, per restare ai temi della piazza, che ha dimenticato la “sua” riforma del Titolo V e sconfessato le fascinazioni presidenzialiste del (recente) passato, e i 5 Stelle che fino a qualche anno fa erano (a parole) così anti-parlamentaristi da voler aprire l’Aula come una scatoletta di tonno. E l’enorme frattura sociale esplosa fra la sinistra e l’Italia profonda, i ceti produttivi e i nuovi proletari. Davanti a ciò, nella comoda ridotta della Ztl che ha sostituito i boschi della Resistenza, ai leader del campetto largo non resta che evocare “Bella ciao” come grande esorcismo. Colonna sonora perfetta – almeno così pensano – per sperare di edulcorare la verità: quella di guardiani dello status quo.