Elly si aggrappa alle Ztl, Giorgia primeggia in Europa: la dimensione del “campo” dice tutto
Con il campo largo – anzi larghissimo e, perché no, “planetario” – di questi tempi si può ambire al massimo al premio di consolazione. Ed è così che vincere in qualche feudo appannaggio dei “cacicchi” (Bari e Firenze), riconquistarne altri (Cagliari, Perugia e Potenza) e fare la staffetta a Campobasso con i grillini (scomparsi ormai dai radar) assume agli occhi di Elly Schlein la fiammata di un progetto. Sognare è lecito, ci mancherebbe. Ma la mattina caccia via il materiale onirico e riporta al confronto con la realtà: la Ztl (entità sociopolitica che il centrodestra, vero progetto interclassista, non deve dare l’impressione di lasciare agli avversari) non basta. E il problema, e che problema per Pd, 5 Stelle, rosso-verdi e cespugli, sarà portare questo “campo rissoso” fuori dai centri storici: in un contesto nazionale in cui occorrerà dimostrare di avere uno straccio di programma comune su tasse, immigrazione, guerre, mercato del lavoro, reddito di cittadinanza, bonus fiscali. Auguri…
Insomma, diradato il polverone dei titoli dei quotidiani compiacenti e l’entusiasmo grottesco di alcuni commentatori televisivi, la verità è si è trattato di un test di secondo piano: peraltro seguente al vero confronto di mid-term, quello delle Europee. Lì dove era stato chiesto pubblicamente, da Giorgia Meloni in persona proprio al Secolo d’Italia, un voto «anche» sul suo governo. Il responso è stato chiaro: unico esecutivo fra i grandi Ue promosso a pieni voti. Probabile, allora, che qualche elettore del centrodestra si sia sentito in qualche modo appagato dall’exploit per Bruxelles ma anche che alcune candidature nei territori siano state considerate non così “mobilitanti”: e con questo trend di affluenza – soprattutto nel Centrosud – si tratta di un segnale da non trascurare per il futuro prossimo. Ma qui, appunto, siamo ancora all’analisi delle amministrative.
Il vero messaggio politico di questa stagione, ripetiamo, è e resta quello giunto dal voto per il rinnovo dell’Europarlamento. Confermato dal trend di questi giorni: con l’Ecr, il partito dei Conservatori europei, divenuto il terzo nell’emiciclo scavalcando i liberali in caduta libera di Emmanuel Macron. E soprattutto con l’Italia del governo Meloni, laboratorio che armonizza le istanze delle tre destre europee in un’agenda realista, che è riuscita a smontare l’asse “arcobaleno”: quello di chi pensava di poter riproporre come se nulla fosse – nonostante il voto chiaro degli europei – lo status quo a trazione rosso-verde. Ossia Green deal, affossamento del mercato interno, de-industrializzazione e filosofia no border. Due elementi che confermano il ruolo politico e programmatico della premier, in attesa di ciò che avverrà domenica prossima in Francia: dove il Rassemblement National di Marine Le Pen e i Repubblicani di Eric Ciotti sono riusciti a trovare la prima, storica, sintesi a partire proprio dal modello italiano.
Non solo. L’Italia si presenterà al prossimo Consiglio europeo con le carte in regola – prima in tutta l’Ue per avanzamento dei progetti – anche sul dossier strutturale su cui si gioca il destino della condivisione del debito in Europa per progetti concreti: il Pnrr. Su questo punto focale il Piano italiano, rivisitato e corretto dall’esecutivo in chiave di autonomia strategica, procede spedito ed è pronto, come hanno rivendicato la premier e il ministro Fitto, alla fase 2. Il combinato disposto di questi elementi (pieno mandato popolare, rispetto e “creatività” per gli impegni presi con l’Ue, capacità di rappresentare la cerniera “di governo” per il vasto mondo delle destre, volontà di stare sui tavoli a partire dalle proposte e non dalle formulette) dimostra pienamente come l’Italia abbia le carte in regola non solo per chiedere ad alta voce un Commissario di peso ma anche per rivendicare, dossier su dossier, un ruolo di primo piano nell’Europa che verrà. Un risultato politico e di sistema giocato e ottenuto in un campo politico, di azione e di rappresentanza, che più largo davvero non si può. Capito, cari dem, cosa c’è oltre la Ztl?