Giustizia per Satnam Singh: contro la «barbarie» del caporalato e il business del Terzo millennio

21 Giu 2024 7:36 - di Antonio Rapisarda

La tragica morte di Satnam Singh ha sconvolto tutti: non poteva essere altrimenti. «Una barbarie. Atti disumani che non appartengono al popolo italiano», l’ha definita ieri il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in apertura del Cdm. Una vicenda in cui è racchiuso insieme, come in un triste paradigma, tutto ciò che non dovrebbe mai accadere: lo sfruttamento della manodopera immigrata, l’assenza di ogni forma di tutela assieme alla mancanza di formazione, l’incredibile e disarmante cinismo dei cosiddetti datori di lavoro, la solitudine degli ultimi davanti a una regressione ottocentesca dell’etica e dei rapporti di lavoro.

Parliamo, chiaramente, della piaga del caporalato. La forma più odiosa di mercificazione. Pratica appannaggio di “titolari” senza scrupoli: italiani ma anche stranieri stessi. Un fenomeno che da anni e anni ormai, nelle campagne dello Stivale, vede fra i “nuovi schiavi” un numero impressionante di immigrati: spesso irregolari, senza permesso di soggiorno. Fantasmi: che resteranno tali finché a volte – come è accaduto al povero bracciante indiano abbandonato vergognosamente dal “titolare”, dopo esser stato mutilato dalla macchina con cui stava lavorando, davanti casa invece che all’ospedale – diventano loro malgrado protagonisti delle cronache.

Basta con questo scempio. Occorre dirlo senza retorica: della quale davvero non se ne può più. Da una parte si sta intervenendo concretamente incentivando nuovamente controllori e controlli nei luoghi di lavoro: dai cantieri ai campi. Dunque più applicazione delle leggi (che ci sono: e sono pure severe). Dall’altra, però, è chiaro che tutto ciò non basterà mai se non si rovescia una volta per tutte la piramide del problema. È proprio questa l’idea guida da cui ha preso le mosse, già dai primi giorni, la politica migratoria di Giorgia Meloni. In tre capitoli: deterrenza contro l’immigrazione clandestina e lotta agli scafisti; piano Mattei di sviluppo e cooperazione paritaria con i Paesi africani; immigrazione legale e controllata contro le agromafie e il caporalato.

Proprio su quest’ultimo punto – dopo anni di lassismo e di retorica dei “porti aperti” – con la riattivazione del decreto flussi e con l’inserimento del dossier nel G7 di Borgo Egnazia, l’esecutivo ha mostrato fattivamente di voler investire sui canali regolari. Che significa controllo del fenomeno e contratti di qualità. Ciò che impedirà, a monte, paghe scandalose e schiaviste di 4 euro l’ora per lavorare sotto il sole cocente: esattamente quella a cui era costretto a sottostare Satnam Singh. Alla luce dell’incidente e dell’increscioso abbandono del povero bracciante indiano, poi, assume ancora più rilevanza l’esposto presentato in Procura della premier: indirizzato proprio a scardinare gli interessi della criminalità organizzata e dei suoi complici che si sono innestati persino nella “domanda” di flussi regolari.

Dalla panoramica di queste azioni emerge con tutta evidenza un approccio articolato alla questione immigrazione che scavalca completamente le semplificazioni di ogni sorta ma anche l’ipocrita indignazione a breve scadenza e di nessun effetto concreto. Se la famiglia di Satnam Singh ha diritto adesso ad ottenere piena giustizia, la cornice per stroncare alla radice lo sfruttamento dell’immigrazione a 360°, il business del Terzo millennio, non può che svilupparsi sulle tre direttrici individuate dal governo. Il risultato sarà più diritti, sociali dunque civili, per tutti. Non ci saranno più così, fra le altre cose, «lavori che italiani non vogliono fare», come recita un’espressione classista in voga fra molti comodi benpensanti: ma lavori che nessun essere umano deve mai più fare in condizioni disumane.

 

 

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