Il formidabile appello al voto di Prodi: turarsi il naso per sostenere il modello Ue della sinistra

8 Giu 2024 11:42 - di Viola Longo
prodi voto

Romano Prodi, in un lungo editoriale sul Messaggero, spiega “Perché dobbiamo correre alle urne” per le europee, come recita il titolo. L’appello al voto, da parte per altro di un uomo che è stato anche presidente della Commissione europea, non stupisce affatto. Semmai, a risultare bizzarre sono le modalità. Sostanzialmente Prodi dice che le candidature proposte dai partiti italiani sono un po’ così, come dire, improvvisate. E che, quindi, lui li capisce gli elettori tentati dall’astensione, “tuttavia, data l’importanza delle urgenti decisioni che dovranno essere obbligatoriamente prese a Bruxelles nei prossimi cinque anni, è necessario correre alle urne”.

Il desolante invito al voto di Prodi

C’è un motivo per cui Prodi arriva a questo invito dal sapore così desolante: il voto che caldeggia è per affermare il modello federale, proposto da quella sinistra che si è distinta per candidature creative. Alla fine della lettura si ha l’impressione che il professore stia sempre fermo lì, all’idea che consegnarsi mani e piedi all’Europa così come l’abbiamo conosciuta sia l’unica strada possibile, anche a costo di mandare a Bruxelles gente non proprio ferratissima.

Un ragionamento ancora inchiodato a “euroscettici” e “euroentusiasti”

Per il professore se c’è una cosa che accomuna “euroscettici o euroentusiasti dei diversi Paesi” (distinzione per altro che si presterebbe a una lunga disanima sul fatto che si tratta di uno schematismo superato) è che tutti “sono stati sempre concordi nel mandare a Bruxelles e a Strasburgo persone specificamente esperte nell’affrontare i complessi problemi sui quali dovranno lavorare nel corso dei cinque anni della legislatura”. Gente qualificata, insomma. “Una squadra – scrive Prodi – capace di esercitare una leadership tecnica e politica e di garantirne non solo l’efficienza, ma anche la continuità”.

Le critiche del professore alla scelta dei candidati italiani

In Italia, invece, per lui non va così: “Non è questo l’elemento che ha caratterizzato la scelta dei nostri candidati che, se eletti, si troveranno quasi tutti a dovere affrontare un lungo e difficile processo di apprendimento, durante il quale i ruoli e le capacità di decisione saranno in mano di altri”. Un po’, spiega, dipende dal fatto che i partiti “moltiplicano o dividono per quattro il numero dei loro eletti da una all’altra legislatura”, un po’ dal fatto che “le candidature agli incarichi europei sono lo strumento più praticato per chiudere i conti rimasti aperti nella politica interna”.

Ma le liste creative stanno a sinistra

Ma chi è, nel panorama politico italiano, che si è mosso in questa direzione? Si riferisce forse al Pd, convintamente euro-federalista, sulla cui composizione delle liste si è consumato un lungo psicodramma interno, risolto poi con papi stranieri come Lucia Annunziata, Cecilia Strada e Marco Tarquino, uomo e professionista universalmente stimato, ma il cui esordio nel grande dibattito con l’idea dello scioglimento della Nato non è stato dei più felici? O si riferisce ad Avs con Christian Raimo, Ilaria Salis e Mimmo Lucano? E questo senza parlare del M5S, che sarebbe esercizio inutile per una serie di motivi: non sovvengono né i nomi dei candidati, né le posizioni sul tema dell’architettura europea e nemmeno la collocazione politica, visto che Giuseppe Conte ha annunciato che è in trattativa per entrare in un gruppo all’europarlamento, ma lo svelerà solo dopo il voto.

Tutto pur di sostenere il modello federale

Se non dice a chi si riferisca, in compenso Prodi informa i lettori e gli elettori che con il voto per le europee si trovano a “un bivio fondamentale”. “Deve decidere se dare il voto a coloro che, sulla base delle loro promesse presenti e ancora più dei loro comportamenti passati, daranno il proprio contributo alla costruzione di un’Europa federale, capace di eliminare i paralizzanti diritti di veto e di unire le forze di tutti i ventisette paesi per una politica economica, una politica estera ed una politica di difesa comuni. O se dare fiducia a coloro che vogliono guidare l’Europa guardando solo lo specchietto retrovisore che riflette un passato diventato ormai incapace di interpretare i cambiamenti in corso”. Quale sia la sua indicazione non c’è neanche bisogno di esplicitarlo. Fatto sta, però, che questa tanto auspicata Europa federale è tutta della sinistra e del Pd in particolare. E che, quindi, per sostenerla l’invito agli elettori non può che essere quello di recarsi alle urne turandosi il naso.

 

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