Il libro. “Alla ricerca di Ettore”, manuale per riscoprire l’eroe. Nel nome del padre

30 Giu 2024 11:30 - di Francesco Colafemmina

Alcuni libri possono avere una funzione catartica, per il lettore ma soprattutto per chi li scrive. Non si tratta di riversare nella scrittura il proprio vissuto, l’autobiografia della mediocrità è qualcosa di cui ogni lettore dovrebbe volentieri fare a meno. Questo è piuttosto un vezzo letterario diffuso nella nostra società guardona e narcisista. Al contrario, ci sono libri che ci purificano perché non mostrano soltanto ferite, ma lo sforzo di curarle, la volontà di superarle, ci indicano la via per il miglioramento di noi stessi e lo fanno a partire da archetipi fondamentali della nostra cultura. È questo il caso dell’agile e profondo saggio di Matteo Carnieletto dal titolo “Alla ricerca di Ettore. Manuale per riscoprire l’eroismo (perduto) dei padri” (Passaggio al Bosco Edizioni, € 7, pp.70).

La ricerca di Ettore coincide con un viaggio a partire delle fragilità dell’uomo contemporaneo, del compagno, del padre, del maschio nella sua integrità. Già così la figura di Ettore non può che essere la più adeguata al racconto del conflitto essenziale tra l’immagine dell’uomo (fondata sul coraggio, sulla nobiltà d’animo, sulla capacità di sacrificarsi per gli altri, a partire dai suoi affetti) e la tragica realtà della caduta, delle crepe che su quell’immagine segnano le insicurezze, le paure, gli arretramenti dinanzi alle sfide materiali e soprattutto spirituali del nostro tempo. Nel canto XXII dell’Iliade assistiamo alla straordinaria potenza della fragilità, in quella fuga ciclica dell’eroe incalzato da Achille, una fuga che si misura ad ogni giro attorno alla duplice fonte di acque fredde e calde, dove le donne troiane in tempo di pace lavavano le vesti.

Un primo indizio, un segno: il luogo della fuga e del ritorno è il luogo dei contrasti, quasi che in ciascuno di noi freddo e caldo si debbano incontrare nell’equilibrio del reale. Al quarto giro di fuga di Ettore dinanzi alla furia del Pelide, la scena si sposta sull’Olimpo. Qui Zeus pone le sorti dei due contendenti su una bilancia. Il piatto con quella di Ettore scende, immagine della sua discesa nell’Ade. E anche Apollo lo abbandona, segno della luce che gli verrà a mancare. Ora l’eroe è solo. Ingannato da Atena, simbolo dell’influsso della mente sull’istinto, Ettore si ferma, decide di affrontare Achille, ma non è ancora certo del suo destino. La nobiltà di Ettore emergerà nel preciso istante in cui deciderà di lottare pur sapendo di essere destinato alla sconfitta: “Pure, non voglio morire senza sforzo e senza onore / ma compiendo qualcosa di grande di cui anche i posteri udranno parlare” (vv.304-305).

La lotta di Ettore non è tuttavia, come nel caso di Achille, espressione del mero orgoglio individuale del guerriero. È difesa di coloro che ama. Così, chiarisce Carnieletto, anche noi “dobbiamo essere disposti ad accettare delle ferite per il nostro bene e per quello di chi abbiamo al nostro fianco. Per i nostri amici, i nostri figli o le nostre mogli. Dobbiamo farlo per un bene più grande. Come le querce: ferme e forti. Per dare riparo a chi lo desidera”. Forse è vero coraggio oggi ribadire il valore del dono, della gratuità, in un mondo dominato dalla quantità e dal materiale. È vero coraggio, al pari di quello di Ettore che si barcamena anche con l’umano sentimento della paura, rammentare che si può essere uomini nobili andando al di là dei propri limiti e del proprio egoismo. Uomini che in un mondo dominato dal miraggio dell’eterna giovinezza, dei muscoli ad ogni età, di una costante adolescenza, scoprono di essere padri solo quando sanno guardare i propri figli auspicando con Ettore, mentre tiene fra le braccia Astianatte, che un giorno “qualcuno possa dire che è molto più grande di suo padre”. Perché Ettore è colui che “è in grado di donare non solo la vita, ma anche un’eredità spirituale buona. È quindi padre di tutti perché ama. E chi ama non muore mai”.

Così, leggendo “Alla ricerca di Ettore” e rileggendo l’Iliade che i rapsodi cantavano nelle grandi feste dell’Ellade, possiamo vivere un’autentica purificazione del nostro spirito. Ritrovarci con la consapevolezza della nostra fragilità ma anche con la certezza di poter accedere alla nobiltà dell’uomo tutte le volte in cui sapremo donare noi stessi, sacrificarci nell’amore, specialmente quello per i nostri figli.

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