Il libro. Fabrizio Quattrocchi nel racconto della sorella: «Sia fatta giustizia sulla storia di un italiano vero»

9 Giu 2024 7:00 - di Fernando Massimo Adonia

Il dovere di ricordare, il dovere di fare giustizia e far sapere alle nuove generazioni che in quel «vi faccio vedere come muore un italiano» risiede l’intero valore di una persona. Fabrizio Quattrocchi, catanese di nascita e genovese d’adozione, è caduto in Iraq il 14 aprile 2004, brutalmente ucciso da un manipolo di criminali senza volto. Una vicenda unica, esemplare. Un filmato ha scolpito per sempre l’orgoglio e l’amor di patria di un uomo a cui è stata riconosciuta la medaglia d’oro al valor civile. Sono passati vent’anni e il dolore dei familiari è ancora lì, che bussa alla porta. La sorella Graziella, forzando la propria riservatezza, ha deciso di buttar fuori tutto – i bei ricordi e le sofferenze – e consegnare al Paese il ritratto di un italiano vero. E lo ha fatto con Vi faccio vedere chi era Fabrizio Quattrocchi, mio fratello, scritto a quattro mani con il giornalista Raffaele Panizza per la Eclettica Edizioni di Alessandro Amorese.

Graziella Quattrocchi, prendendo spunto dal titolo, chi era suo fratello?

«Fabrizio era un ragazzo come tanti, che aveva dei sogni e un progetto di vita: farsi una famiglia. Purtroppo, come succede spesso nel nostro Paese, non ci sono i mezzi per realizzarli. Penso sia stato questo il motivo che lo ha portato a prendere una decisione sofferente, pericolosa, dolorosa e cercare fortuna fuori dall’Italia».

A lei, in particolare, che ricordo ha lasciato?

«Il ricordo di un ragazzo incredibile ed equilibrato. Il libro contiene episodi personali che ho appreso soltanto dopo la sua morte. Gli amici e i conoscenti ci hanno raccontato di un uomo generosissimo. Anche in famiglia era un grande, sempre presente. I miei figli sono cresciuti con lui, è stato un vero fratello maggiore».

La frase pronunciata prima di morire dà la misura della sua persona?

«Era effettivamente così, affrontava tutto a testa alta. In quelle parole c’è tutto Fabrizio, che amava tanto il suo Paese ed era legato alle sue radici. Sì, in quello slancio c’è molto di lui: molto, molto!»

L’Italia è consapevole del suo valore?

«È necessario che la sua figura sia conosciuta e rivalutata, perché in tanti hanno una visione distorta. Guardi, è stato detto di tutto su di lui senza neanche conoscerlo. E tutto ciò ha alimentato una visione non reale».

Quanto fa male l’uso della parola mercenario?

«I tribunali hanno appurato che non lo era affatto. La medaglia d’oro al valor civile lo conferma. In ogni lettera inviata alla famiglia, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha ricordato l’onore e il coraggio di Fabrizio. Queste polemiche, ormai, non dovrebbero più attecchire».

Come dice il proverbio, però, la mamma degli stolti…

«Per noi della famiglia è doloroso leggere quanto scrivono certi leoni da tastiera. Purtroppo, nel nostro Paese si parla tanto e si giudica senza conoscere. Questo libro è rivolto anche a loro, affinché possano approfondire i fatti. Ma non solo».

Oltre loro, a chi è dedicato il libro?

«A quei tanti che lo hanno conosciuto e che in questi vent’anni lo hanno sempre ricordato. Immagino che farà loro piacere saperne di più su Fabrizio».

Scrivere ha significato sicuramente rimestare tanta sofferenza.

«Il dolore c’è ancora, non è finito. In questi vent’anni ho preso tanti appunti, ho sentito la necessità di mettere per iscritto la sofferenza e quanto avveniva nell’animo di noi familiari. Ho scritto quel che abbiamo passato. Ho scritto di Fabrizio».

Quanto le pesa dover custodire la memoria di suo fratello?

«Fino a poco tempo fa non riuscivo neanche a parlarne, era una sofferenza enorme. Non ho mai amato parlare davanti a una telecamera e, negli anni, non siamo mai andati in televisione. Sono timida, sono gelosa della mia riservatezza. So che dovrò presentare il libro, vuol dire che mi sforzerò: ma so che ad aiutarmi ci saranno i miei familiari e Raffaele».

Raffaele Panizza, appunto: il coautore.

«Come le ho già detto, per vent’anni ho raccolto appunti. Alcuni giornalisti famosi mi avevano spronata a pubblicarli, ma non ero convinta. Ero restia. Con Raffaele è stato diverso, siamo entrati subito in empatia, forse perché anche lui ha vissuto un grave lutto in famiglia. Ci siamo capiti immediatamente».

Da lì la scintilla…

«Siamo entrati subito in sintonia e abbiamo lavorato tanto. Lui si è occupato del lavoro giornalistico, con ricerche lunghissime e meticolose. Abbiamo faticato e sofferto assieme, ma era necessario che andasse così. L’obiettivo è rendere giustizia a mio fratello». 

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