La prospettiva è “Eurotecnica”: il destino dei popoli è nel genius loci. Il secondo Convegno di Kultureuropa

23 Giu 2024 14:07 - di Francesco Ingravalle

«La posta in gioco è colossale: i popoli europei devono scegliere tra la loro cancellazione definitiva e la volontà di compiere il loro destino storico, continuando ad affermare liberamente la propria identità e la propria sovranità sull’area continentale in cui il loro genio affonda le sue radici da più di cinquemila anni», scrive Marco Scatarzi nella prefazione a Centro Studi Kultureuropa, Eurotecnica. Futuro e identità, Roma, Passaggio al Bosco, 2024 (atti del Convegno tenutosi a Roma il 16 marzo 2024) . Questo è l’angolo visuale decisivo: la scelta dei popoli europei. Angolo visuale e problema: non esiste una voce politica organizzata dei popoli europei e bisogna chiedersi se e in quali limiti esista il soggetto politico di questa auspicata voce. Perché gli Europei possono sentirsi europei? Perché condividono procedure decisionali comuni, processi amministrativi comuni. Non per altro: i canali formativi europei non insegnano la storia europea come unità di cultura; la formazione in Europa è rigorosamente nazionale, se non nazionalistica; la politica degli Stati membri, anche in occasioni come le elezioni europee è rigorosamente nazionale, se non nazionalistica. Soltanto al livello delle istituzioni europee (sostanzialmente al livello del mercato unico e della giurisprudenza a esso connessa) emerge la consapevolezza di una storia comune che, tuttavia, non risale più indietro del 1950.

Pensiamo che settanta anni dopo la liberazione dal dominio inglese gli Stati Uniti d’America erano uno Stato sufficientemente consolidato da affrontare le conseguenze della prima crisi finanziaria globalizzata dall’invenzione del telegrafo (1844). Il passaggio dal debole modello confederale al modello federale, avvenuto con la costituzione stilata tra il maggio e il settembre 1787 e ratificata nel giugno 1788 indica l’esistenza di un’opinione pubblica fermamente anti-inglese e decisa a tutelare la propria indipendenza. Per citare due esempi nazionali: sia nel caso dell’unificazione italiana (1861), sia nel caso dell’unificazione tedesca (1871) abbiamo borghesie relativamente forti in grado di operare in vista dell’unificazione politica dei due Paesi (con tutte le ben note differenze). Un simile soggetto politico non esiste nell’Europa attuale nata dalla diplomazia economica degli Stati membri. Nata dalla diplomazia economica, ma reale. E su questa realtà si innesta l’eurotecnica come prospettiva. Come scrive Carlomanno Adinolfi, «Il mondo si fa sempre più energivoro e reggere tutto sulle risorse fossili non è più sostenibile, non soltanto ambientalmente, ma anche strutturalmente. Servono nuove forme di energia e serve il controllo delle nuove risorse (terre rare, uranio, gas naturali, ecc.). Sotto questo profilo l’Europa sembra “molto indietro rispetto ai suoi naturali competitor, Usa e Cina. Lo sembra – e lo è – perché è “priva di una direzione politica compatta e decisa”.

Ma c’è un campo nel quale l’Europa ha pochi rivali: lo studio della materia e delle particelle subatomiche (grazie al CERN) e l’informatica quantistica. Gli Stati Uniti non temono nient’altro che «una modernità alternativa», scrive Adriano Scianca, un’alternativa che accetti il terreno della tecnica come terreno di confronto riconoscendo nella tecnica l’essenza stessa dell’Europa (molti ricorderanno le osservazioni di Evola nel volume L’operaio nel pensiero di Ernst Jünger, 1960), nella quale converge anche la teoria dello spirito come atto puro di Giovanni Gentile. In altri termini, sotto il profilo ideologico la tecnica è tutt’altro che estranea all’identità dell’Europa: la rivoluzione scientifica e la rivoluzione industriale, prodotti europei, lo mostrano. E la contrapposizione fra pensiero scientifico e idealismo filosofico appartiene alla storia dei concetti, non alla potenzialità euristica dei concetti stessi (è vero che gli idealisti filosofici sono stati ostacoli per lo sviluppo accademico della filosofia della scienza e della tecnica, soprattutto in Italia, ma è altrettanto vero che l’idealismo filosofico può divenire filosofia della scienza, come mostra il caso di Ugo Spirito). Sotto il profilo concreto, come sottolinea Gian Piero Joime, «gli scenari di riferimento prevedono per il prossimo futuro una penetrazione delle fonti decarbonizzate sul mercato elettrico mondiale tra l’80% ed il 100%, dall’attuale circa 20%». La transizione energetica è cinese: «Oggi la Cina […] è il più grande fornitore globale di materie prime critiche, contribuendo alla fornitura del 66% del totale e detenendo il primato su gran parte dei minerali strategici». La Cina ha conquistato la leadership contrattuale «nelle principali aree minerarie, dall’Australia al Sud America e all’Africa […]». La Cina esercita quasi il monopolio per la produzione di anodi di litio; la reazione statunitense è stata l’ I.R.A. (Inflation Reduction Act) rivolta sia a perimetrare la competizione con la Cina nella transizione energetica allo scopo di limitare l’ascesa cinese, sia ad «affermare la posizione dominante dell’industria verde americana nei confronti di tutti i competitor globali, anche del partner europeo».

Politico è il tentativo di stimolare la produzione statunitense. Il Green Industrial Plan europeo intende creare migliori condizioni per progetti e investimenti nella transizione energetica, un sistema di finanziamenti competitivi con quanto offerto al di fuori dell’U.E. (con la proposta di creazione di un fondo sovrano europeo), il rafforzamento delle competenze del personale nei vari segmenti delle filiere e, infine, lo sviluppo di un commercio internazionale aperto ed equo per le “tecnologie pulite”. Ma per fare questo in modo efficace, l’U.E. dovrebbe essere uno Stato federale. Sul piano finanziario l’ Euro digitale si presenta come “un enorme balzo in avanti nella gestione del sistema finanziario europeo grazie al controllo sui flussi monetari pressoché totale”, un unico grande “database/registro centralizzato sul quale viene registrata ogni transazione che viene eseguita con gli euro digitali […] in grado di monitorare tutto il percorso di ciascun singolo euro digitale che verrà generato”; ma anche come il grande rischio che la vita quotidiana sia governata e disciplinata da un numero ristretto di funzionari e che un qualsiasi attacco hacker possa mettere in ginocchio un intero continente. L’alternativa è il bitcoin, garanzia effettiva di libertà di fronte al profilo distopico dell’Euro digitale.

L’Intelligenza Artificiale offre, indirettamente, la possibilità di una rivoluzione contro il logocentrismo di matrice cartesiana che caratterizza i processi formativi presenti in Europa per orientarsi verso, come scrive Sergio Filacchioni «l’importanza della fisicità dei nostri processi di apprendimento […] Ideas into action, disse Pound». Occorre «reintegrare l’azione nel concetto di “intelligenza” e renderla veramente centrale, così da potersi confrontare con una AI nella libertà che la padronanza del nostro primo mezzo – il corpo- può darci ancora prima del nostro secondo mezzo, il linguaggio». L’Intelligenza Artificiale certamente può facilitare il lavoro della comunicazione (nel giornalismo, a esempio), a condizione di un costante controllo sulla rielaborazione dei dati; ma non va dimenticato che quando l’Intelligenza artificiale è interrogata su questioni sulle quali non sa dare la risposta, scrive Ada Fichera, «non dice che non sa ma inventa delle cose che non esistono e addirittura fornisce titoli e autori di ipotetici libri sul tema richiesto che non esistono». Dunque non soltanto l’intelligenza artificiale può essere fonte di errori, ma anche di falsificazioni di origine sistemica, non direttamente umana. Il problema ha, indubbiamente, rilievo, data la tendenza, comprensibile, ad ‘appoggiarsi’ sull’intelligenza artificiale come su di un fondamento veridico indiscutibile. Pur senza alterare i rapporti sociali di produzione, l’Intelligenza Artificiale ha cambiato le basi stesse della politica industriale. Daniel Casarin scrive: “Il mondo che esiste oggi sarà diverso domani, considerato che nella storia i cambiamenti tecnologici hanno generato rapidamente disuguaglianze economiche.” La tecnologia può funzionare o “per facilitare i piani di persone e/o istituzioni che detengono il potere” e/o “per rivendicare una parte equa dei benefici” che si vengono producendo.

La scelta è, evidentemente politica. E la politica, sul piano industriale, è, ormai, continentale. La strategia delle politiche industriali non può essere lineare, perché le sfide sono molteplici, eterogenee: perdita di personale che “non ha le competenze digitali che saranno sempre più indispensabili e richieste; la crescente dipendenza correlata alla progressiva erosione di competenze (creative, tecniche, comunicative, sociali)”; la sicurezza: i sistemi informativi sono diversamente vulnerabili rispetto ai sistemi analogici; i costi di investimento (acquisto di hardware e software); i costi di formazione specifica per le nuove tecnologie; costi di revisione dei processi. Se di sistema si può parlare, si tratta di un sistema a molteplici variabili e ad alto grado di complessità nel quale l’efficienza è una sfida costante e dagli esiti non sempre prevedibili. E la strategia non può essere lineare. L’Intelligenza Artificiale “richiede individui che ne governino l’impiego” e che, al vertice, attivino politiche industriali in grado di governare la complessità del sistema al servizio del bene comune. Ma governare l’altro da noi, come insegnava già Platone (in particolare nel dialogo Gorgia), significa governare noi stessi; quindi il requisito del governante nella società tecnologica è il “governo di sé” (caratteristica, va ricordato, anche del Übermensch teorizzato da Nietzsche).

La tutela del bene comune non è agevole, data la natura oligarchica degli attuali, concreti, regimi, occidentali e orientali; per questo il ruolo della partecipazione è decisivo, come istanza di controllo dal basso. Scrive Francesco Guarente: «Esiste una relazione di reciproca generatività tra la politica industriale e la partecipazione, propulsiva in entrambe le direzioni, cioè dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto.” Per un’economia sociale di mercato fondamentale è che la politica industriale sia definita in sede di concertazione non soltanto fra datori di lavoro e lavoratori, ma anche intrecciando iniziativa privata e iniziativa pubblica in vista del bene comune e del rilancio industriale (italiano ed europeo. Se Europa-accelerazione –potenza (Passaggio al Bosco, Roma, 2023) ha posto le basi metapolitiche della questione europea, Eurotecnica. Futuro e identità specifica ulteriormente le prospettive di una Europa politica; si tratta di “nuovi tempi, nuove forme di partecipazione” (come scrive Giancarlo Ferrara, Postfazione, p. 149): oggi, ancora più di ieri, “c’è bisogno di strumenti ermeneutici all’altezza dei tempi che non possono limitarsi a “riverniciature” del passato, né a riproposizioni di modelli ormai datati”.

Il problema è politico. Ma la politica è rappresentanza (da sempre); alle ultime elezioni europee ha votato per il rinnovo del Parlamento nemmeno il 50% degli aventi diritto al voto. Il resto dell’elettorato ha rinunciato a votare, o perché troppo in alto, o perché troppo in basso nella piramide sociale. Una situazione, per così dire, statunitense. Soltanto a livello di mercato unico, del resto, l’Europa si sente una. Che lo diventi anche politicamente dipenderà dalla pressione che il mondo della produzione saprà esercitare sugli assetti istituzionali europei stimolando una revisione dei trattati in senso federale.

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