L’editoriale. L’operazione Arlecchino di Tusk & co è un bluff. L’Ue vuole cambiare volto e rotta
«C’è già una (vecchia, ndr) maggioranza in Ue». «Schiaffo ai Conservatori». «La ritirata di Meloni». E chi più ne ha ne metta. Un lettore un po’ pigro o troppo in buona fede, leggendo gli ultimi titoli dei principali quotidiani, finirebbe dritto-dritto…fuoristrada. Proprio così: è tutto falso. Si tratta, per spiegarlo in termini didascalici, dell’interpretazione di comodo di chi non accetta, ma questa non è certo una novità, di fare i conti con la realtà effettuale. Con i fatti politici emersi dalle elezioni Europee, non con i propri desiderata.
La realtà è che alla cena dei 27 leader europei non si è deciso proprio nulla sui cosiddetti “top job” (a partire dalle presidenza della Commissione e del Consiglio Ue) né – fatto più importante – sui destini della prossima legislatura: il dossier che interessa di più all’Italia e a Giorgia Meloni in particolare. L’errore di fondo di certi vincitori (nel Ppe) e soprattutto dei vinti (socialisti, liberali) è quello denunciato più volte proprio dalla leader di Ecr-FdI: partire dai nomi e dai veti e pensare di costruire ancora attorno a questi l’architettura.
Nulla di più sbagliato e incapacitante, rispetto al quadro che si è venuto a creare con il voto dei cittadini europei. Che hanno allegato un messaggio preciso ai rispettivi leader: la somma aritmetica della Grosse Koalition non basta più a determinare il futuro dell’Ue. La dimostrazione? Sta nel fatto che ha messo d’accordo tutti ma proprio tutti i retroscena: il “soccorso” dei Verdi a una nuova avventura che sostituisca tout court le destre conservatrici ed identitarie è stato rigettato in blocco dai Popolari. È chiaro: da quelle parti tutti sanno perfettamente che a solo sentire parlare ancora di Green Deal le rispettive opinioni pubbliche nazionali sono pronte a presentare un conto amarissimo alla prossima occasione disponibile.
Questo è solo un esempio ma è indicativo di come l’uscita arrogante del negoziatore del Ppe Donal Tusk («No alle destre, abbiamo già la maggioranza») sia da interpretare come un semplice calcio di inizio di una partita lunga. Dove, e questa è la novità con cui il premier polacco deve ancora prendere confidenza, non si gioca più con una sola porta: adesso i gol si possono pure prendere. Se ne sono accorti, eccome, coloro convinti di aver già vinto ancora prima di scendere in campo. Uno su tutti Emmanuel Macron: l’anatra zoppa che con la sua grandeur pensava di aver già stabilito il successore di Ursula Von der Leyen “bruciando” così, di fatto e come insegna l’infallibile tradizione popolare, il nome di Mario Draghi. Ancora più goffo chi ha pensato che uscire sconfitto non avrebbe mutato la posizione in classifica. “Campione”, in questa disciplina, Olaf Scholz: l’ultimo illuso, dall’alto di un flop storico in patria (superato persino dai nazional-populisti di Afd), di poter stabilire l’agibilità dell’Italia, della premier italiana e della sua destra in Europa.
Tutti costoro, popolari, liberali e socialisti, chi prima e chi dopo, dovranno arrendersi a due fatti. Il quadro politico – per fattori endogeni ed esogeni – in Europa è mutato e l’operazione Arlecchino è più “cosmetica” che politica: non può nascondere le rughe della vecchia impalcatura. In secondo luogo a guidare la terza economia europea è giunto un governo che ha già dimostrato di non voler recitare il ruolo stabilito da altri: a partire da quello della “testimonianza” e dell’oppositore per il gusto dell’opposizione.
Seguendo questo tracciato Giorgia Meloni ha ottenuto risultati importanti sui dossier e grande consenso elettorale che ne ha fatto – unico governo, fra i Paesi fondatori, a uscire vincitore dalle urne – la guida di chi auspica una nuova configurazione dell’agenda e della meccanica fra gli Stati e Bruxelles. Ecco perché l’esecutivo e la premier faranno di tutto, da un lato, per rivendicare il peso dell’Italia ai vertici della Commissione; e dall’altro per sostituire la “mappa” delle priorità. Una correzione fondamentale per togliere dalla plancia di comando dell’Ue la rotta inserita dallo spericolato pilota automatico: quella che sta portando l’Europa ad implodere fra regole, de-industrializzazione e monetarismo. Pilota, ca vans dire, messo dai fautori dello status quo. I grandi sconfitti di queste Europee. Se ne accorgeranno alla prossima curva…