L’intervista. Graziosi: “Trump e Biden sono due candidati inevitabili, ma sul voto americano pesano molte incognite”

26 Giu 2024 8:01 - di Michele Di Lollo
graziosi biden trump

È un’America in lotta con se stessa quella che si scontrerà alle urne nel prossimo novembre. Le elezioni presidenziali non sono mai state così divisive negli Usa. Si affrontano due idee di mondo libero, con relativi slanci estremisti. Da una parte Joe Biden, dall’altra Donald Trump. Un clima difficile per la società e la politica statunitensi su cui vale la pena interrogarsi. Lo abbiamo fatto con Stefano Graziosi, firma de La Verità che su Biden ha scritto il saggio Joe Biden. Tutti i guai del presidente (Edizioni Ares), che presenterà stasera alle 18 presso la sede di Confedilizia a Roma, in via Borgognona 47.

Il presidente Biden, nei primissimi giorni dopo il suo insediamento, pronunciò questa frase: “L’America è tornata”. Ce la può spiegare?

Durante la campagna elettorale del 2020, Biden aveva impostato la sua strategia elettorale, presentandosi come colui che avrebbe restaurato l’autentico spirito americano e bollando Trump come una sorta di eretico di cui doversi liberare. È su queste basi che l’allora candidato dem fondò la sua logica della “santa alleanza”: chiamare, cioè, a raccolta tutte le varie correnti del Partito democratico in nome dell’opposizione al comune nemico.

Poi cosa è accaduto?

Il punto è che, a lungo andare, questa linea ha mostrato i suoi limiti. In primis, Trump, piaccia o meno, non è stato un incidente di percorso della storia americana, ma il prodotto di una serie di crisi: dalla guerra in Iraq alla Grande recessione. In tal senso, le radici che hanno prodotto il trumpismo non sono poi così dissimili da quelle che portarono Barack Obama alla vittoria nel 2008. Ricordiamoci sempre che gli avversari storici di Obama sono stati gli stessi che ha dovuto affrontare Trump: Hillary Clinton, John McCain e Mitt Romney. In secondo luogo, non va trascurato che l’idea della “restaurazione” non ha disinnescato i conflitti in seno al Partito democratico americano: non a caso, appena Biden si è insediato, sono riemersi. Si pensi soltanto all’immigrazione clandestina o alla crisi di Gaza.

A quasi 4 anni di distanza da quel dì le chiedo: l’America è davvero tornata? O è ancora più divisa e debole rispetto al passato, soprattutto agli occhi del mondo?

Il declino americano sul piano internazionale è principalmente dovuto a una crisi della deterrenza che Biden ha contribuito a produrre.

Si riferisce alla “fuga” dall’Afghanistan?

La disastrosa evacuazione dall’Afghanistan del 2021 ha fatto sì che Russia, Cina e Iran rialzassero la testa. Poche settimane dopo la caduta di Kabul, Putin ha intensificato l’ammassamento di truppe russe al confine ucraino, mentre Xi Jinping ha iniziato a violare lo spazio aereo di Taiwan. Inoltre, il fatto che Biden abbia raffreddato i rapporti con Israele e Arabia Saudita, cercando contestualmente di ripristinare il controverso accordo sul nucleare iraniano, ha portato Teheran a farsi più baldanzosa. A peggiorare la situazione sta il fatto che, negli ultimi tre anni, Washington ha significativamente perso influenza su Medio Oriente, America Latina e Africa.

Il noto Sud Globale…

Esatto l’attuale Casa Bianca non riesce a parlare al Sud Globale.

Se si guarda alla deriva woke e alla piaga diffusa del politicamente corretto che hanno investito gli Usa negli ultimi tempi, viene spontaneo chiedersi: è in pericolo il sogno americano?

È indubbio che alcuni settori politico-culturali d’Oltreatlantico stanno mettendo oggi pesantemente in discussione le radici filosofiche su cui si fondano gli Stati Uniti.

Cosa la preoccupa di più?

L’aspetto forse più preoccupante non sono tanto i fanatici che promuovono queste visioni radicali, quanto semmai chi le cavalca per fini politici e nell’ambito di vere e proprie lotte di potere. Sia chiaro: il problema non è interrogarsi, anche criticamente, sul proprio passato. Il problema è un estremismo iconoclasta, che in nome dell’anti occidentalismo più sfrenato finisce soltanto con l’alimentare un pericoloso clima da guerra civile, strizzando magari l’occhio a realtà tutt’altro che raccomandabili tipo Hamas.

In America esiste un radicalismo tra i repubblicani?

Nessuno nega che in America esista un pericoloso radicalismo di destra. Ma troppo spesso si finge di ignorare un radicalismo altrettanto pericoloso a sinistra. Nel 2022, il giudice supremo Brett Kavanaugh ha rischiato di essere ucciso. Senza dimenticare gli atti di vandalismo ai danni delle chiese, quello stesso anno, dopo il ribaltamento di Roe vs Wade sull’aborto. Un conto è criticare una sentenza che non si condivide, altro conto è esprimere tale dissenso in modo violento e prevaricatore.

Trump è una carta che il popolo americano può provare a giocare per fermare quello che in molti considerano un lento, ma inesorabile declino?

Negli ultimi mesi, Trump si è guadagnato progressivamente la simpatia di ambienti che lo hanno sempre detestato: da Wall Street ad alcuni apparati governativi. Sta crescendo infatti la disaffezione nei confronti di Biden.

Cosa è andato storto?

Se la burocrazia del Pentagono non gli perdona il disastro afghano, alcuni esponenti dell’alta finanza non sono pronti a scommettere sulla sua leadership sempre più debole. Ecco perché, differentemente dal 2016 e dal 2020, Trump stavolta è politicamente molto più solido.

Quali saranno le mosse di Trump?

In politica estera, il candidato repubblicano cercherà di tornare a muoversi secondo la logica della politica di potenza. È in quest’ottica che tenterà un ripristino della deterrenza nei confronti di Mosca, Pechino e Teheran.

Riuscirà a dribblare il declino americano?

Il problema non è la presunta ineluttabilità del declino americano. Il problema è quando si fa riferimento a un paradigma non adeguato ai tempi. Biden ha continuato a muoversi secondo logiche che potevano funzionare negli anni Novanta. È per questo che, con la sua presidenza, Washington ha perso influenza sul Sud globale. La sfida per Trump sarà quella di recuperare tale influenza, anche se non sarà facile.

The Donald ha perso nel 2020, ma non è rimasto a guardare. Nonostante i guai giudiziari, sembra pronto al conflitto finale delle urne previsto a novembre. Cosa ci aspetta nei prossimi mesi di campagna elettorale? Si arriverà alle elezioni con un Paese sempre più lacerato al suo interno?

Al momento si registra una situazione senza precedenti. Non era mai successo che un ex presidente, per di più ricandidato, finisse incriminato e condannato. È anche la prima volta che il figlio di un presidente in carica subisce a sua volta una condanna. Certo, è tutto da dimostrare che tali dinamiche giudiziarie avranno un impatto rilevante sulle scelte dell’elettorato in un senso o nell’altro.

Pensa che tutto ciò non impatterà sul voto?

È chiaro che questi elementi gettano ulteriore benzina sul fuoco in un contesto di polarizzazione crescente.

Quanto è profondo il conflitto popolo-élite nella società americana? La pancia degli Stati Uniti sta con Trump o con Biden?

Diciamo che storicamente Trump ha sempre avuto una carica antisistema, mentre Biden nel 2020 ha ottenuto l’appoggio di Wall Street e Silicon Valley. Oggi però la situazione è più fluida. Una parte dei colletti blu che votò per Biden è al momento irritata a causa delle sue politiche green: non a caso, Trump sta da tempo facendo campagna contro le auto elettriche.

Quali sono le sue intenzioni?

Il suo obiettivo, in tal senso, è quello di recuperare terreno tra i metalmeccanici del Michigan. Dall’altra parte, come detto prima, pezzi importanti dell’establishment politico e finanziario americano oggi sembra che stiano avvicinandosi maggiormente a Trump. E questo vale anche per le alte sfere della sicurezza nazionale. Non dimentichiamo che l’ultimo pacchetto statunitense di assistenza militare a Kiev è stato approvato grazie al placet di Trump, che ha salvato lo Speaker della Camera, Mike Johnson, dal tentativo di estromissione, condotto dalla deputata Marjorie Taylor Greene.

Due trumpisti di ferro.

Ecco, questo è un punto decisivo: sia Johnson che la Taylor Greene sono due trumpisti di ferro. Tuttavia, mentre la seconda è rimasta su posizioni radicalmente antisistema, il secondo si è maggiormente “istituzionalizzato”. E lo ha fatto con la benedizione dello stesso Trump.

Tutta strategia…

L’ex presidente si è reso conto che, in caso di ritorno alla Casa Bianca, non può permettersi nuove fronde da parte degli apparati. Si sta quindi registrando un matrimonio di convenienza tra questi mondi così distanti. Trump, dal canto suo, dovrà fare attenzione a evitare una spaccatura nel suo movimento tra l’ala istituzionale e quella antisistema. Deve trovare un’armonizzazione, perché, per vincere, ha bisogno di entrambe. Il problema per lui è che, sul fronte anti establishment, rischia la concorrenza di Robert Kennedy jr.

Per molti sia Biden che Trump sono “unfit”, inadatti a governare. Esiste un problema di leadership?

Sono due candidati a loro modo inevitabili. La leadership di Trump è fuori discussione per la maggioranza dei repubblicani: come hanno mostrato le primarie, non ha dovuto affrontare contendenti realmente pericolosi. La presenza di Biden, dall’altra parte, rimanda il problema della lotta tra le correnti in seno al Partito democratico. Finché c’è lui, la dialettica interna sarà, sì, aspra, ma sarà evitato lo scontro per la nomination presidenziale dem: uno scontro che, viste le spaccature in essere, potrebbe rivelarsi fatale per l’unità del partito. Certo è che aleggiano numerose incognite.

Quali?

Trump rischia l’arresto pochi giorni prima della Convention nazionale repubblicana: uno scenario che tecnicamente non invaliderebbe la sua candidatura, ma i cui risvolti politici restano imprevedibili. Biden, dal canto suo, si gioca molto con il dibattito televisivo del 27 giugno: siamo sicuri che, se dovesse andare male, continuerà a essere il candidato presidenziale del Partito democratico?

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *