Meloni ha ideato la destra riformatrice. L’ha allevata con cura e ora la inaugura nelle istituzioni repubblicane
Ecco la destra riformatrice targata Giorgia Meloni. La leader di FdI l’ha ideata e allevata con cura, pazienza e intelligenza, e ora la inaugura nelle istituzioni repubblicane. Dopo appena un anno e mezzo dal suo insediamento, infatti, vedono la luce le prime riforme, le quali – è bene precisarlo – erano scritte nel programma del suo partito, fin dalla nascita, nel dicembre 2012, e appartengono alla tradizione della destra italiana: l’elezione diretta del premier e la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri.
Riforma, dunque, è la parola-chiave del governo Meloni, checché ne dicano i suoi detrattori. Il vocabolo, che era scomparso dal lessico della politica italiana recente, vi rientra a pieno titolo grazie al coraggio di una leader e alla compattezza di un partito che si richiama sempre più apertamente al conservatorismo occidentale. Il che non è affatto un paradosso, come le categorie di pensiero imposte dalla sinistra vorrebbero far credere: riforma e conservazione sono concetti tutt’altro che antitetici.
Il vero conservatore, infatti, si oppone non al cambiamento in sé, ma allo “spirito del cambiamento” che sottende alla rivoluzione, convinto com’è che non le riforme ragionate e misurate, ma le trasformazioni radicali siano eversive dell’ordine costituito. Se per il conservatore è di capitale importanza il mantenimento delle istituzioni, e a questo fine devono tendere le leggi, lo è ancor di più il loro miglioramento a beneficio delle generazioni future. Nessuna meraviglia, dunque, se a fare le riforme in questo Paese, dopo gli insuccessi nelle precedenti legislature, non sono i progressisti ma i conservatori.
Il conservatorismo, del resto, è qualcosa di più di uno stile di vita o di una mentalità meramente anti-progressista: è una dottrina politica che accomuna i custodi di valori eterni quali la tradizione, la vita, l’onore, la libertà, la saggezza, la gentilezza, la fedeltà, la famiglia, la comunità e la nazione. Sono queste le “armi” maggiormente usate dai conservatori nella battaglia contro rivoluzionari, sofisti e utopisti di ogni epoca.
Ma insita nel codice genetico del conservatore è anche la vena riformatrice. Non a caso tutti i più grandi statisti conservatori sono stati riformatori, da Disraeli a Bismarck, da Churchill a de Gaulle, da Thatcher a Reagan, uomini e donne di grande levatura politica che si sono fieramente autodefiniti “conservatori”. Giorgia Meloni, sempre più proiettata nella dimensione europea, ha tutte le carte in regola per dare continuità a questa scuola politica che privilegia le riforme alla rivoluzione, la prudenza della ragione all’ardore del fanatismo, il pragmatismo al massimalismo, la realtà all’utopia. Certo, il cammino è ancora lungo e accidentato, ma un fatto è certo: oggi cade anche in Italia il tabù che voleva il conservatore come nient’altro che un reazionario. Tutt’altro: conservatore è colui che, come diceva giustamente Prezzolini, intende “continuare mantenendo”, che a problemi nuovi dà risposte ispirate a principi permanenti, che è “rinnovatore delle leggi eterne dimenticate stupidamente, nascoste ipocritamente, trascurate impotentemente, violate quotidianamente”. Conservatore è “se non l’uomo di domani, certamente l’uomo del dopodomani, che sarà riconosciuto quando i suoi avversari democratici avranno fatto fallimento”. Parole profetiche, a giudicare dagli eventi.