Metaverso e intelligenza artificiale: la sfida non è combatterle ma ritrovare uno spazio in noi
L’intelligenza artificiale salverà il mondo. Sì, quello generato da connessioni e intrecci fra banche dati, realtà ipotetica, estesa e virtuale. Nei prossimi anni, infatti, verranno ampliate sempre di più le frontiere dell’Ia. Presentandole per conquiste epocali in grado di cambiare, in meglio, ogni aspetto della vita umana, grazie all’uso avanzato di modalità che, pur partorite dalla creatività dell’uomo, divengono man mano elementi distintivi di uno spazio con proprie dinamiche autonome e di difficile identificazione e controllo.
Intelligenza artificiale e metaverso, nessuna conquista epocale
Lo stesso metaverso, sbandierato come conquista del progresso fin dal 2021 e negli ultimi tempi in forte crisi di identità e di risultati, potrà trovare nuova linfa proprio grazie all’interazione con l’intelligenza artificiale. Il tutto nel nome di una post-ideologia che è figlia del transumanesimo, in base alla quale al centro non vi è più l’individuo, ma una sorta di “macchina cosciente”. Perdonerete l’espressione, visto che parlare di coscienza per ciò che proviene dall’uomo ma tecnicamente non è umano può apparire provocatorio, eppure non è per nulla un azzardo, soprattutto laddove si pensi che nel nome del post-umano, ad essere sacrificata, nel tempo e in un futuro non troppo lontano, dovrà essere, forzatamente, proprio la natura umana. E dunque, ben presto si potrà conversare senza troppi mugugni di una “coscienza digitale”, di cui peraltro si parla da tempo.
La coscienza digitale non è umana
Sì, chi scrive sta esagerando e lo fa con cognizione di causa, perché siamo tutti ben consapevoli che le nuove direttrici del progresso tecnologico sono entrate da tempo nella quotidianità di ciascuno di noi: nella nostra vita ordinaria stiamo curvi e con gli occhi sbarrati sullo smartphone, come se questo oggetto possa darci oggi tutte le risposte di cui abbiamo bisogno. E in effetti, è banalmente e parzialmente vero, poiché buona parte della vita di molti si svolge già oggi in un “luogo” che non è quello umano: ciò vuol dire che la rivoluzione digitale, già in atto da tempo, sta proseguendo la sua marcia, silenziosamente ma rapidamente e senza apparenti spargimenti di sangue. La nostra nuova identità digitale, infatti, è tale che è stata già oltrepassata la linea rossa, oltre la quale non vi è troppa distinzione fra ciò che è reale e ciò che non lo è.
Luogo misto tra spazio fisico e touch screen
Ci troviamo, infatti, sempre più frequentemente in una specie di “luogo misto”, poiché siamo contemporaneamente in uno spazio fisico e nel nostro telefono cellulare o in un pc, con un piede in soggiorno e gli occhi e il pensiero puntati sul touch screen. E che importa se a lungo andare questo possa generare comportamenti sociopatici e antisociali, dovuti alla confusione tra l’io reale e l’io digitale e alla sempre più debole consapevolezza su quale sia la vera realtà?
La sfida non è tra antico e moderno
Di certo, i teorici del progresso ad ogni costo sbadiglieranno nel leggere queste poche righe – è palpabile il loro disgusto – e affermeranno che in ogni epoca storica le novità hanno fatto paura a chi era arroccato all’antico, o peggio, al vecchio. Costoro possono dormire sonni tranquilli perché, lungi dal dare loro torto, quantomeno per evitare di essere additati immediatamente per reazionari e conservatori (che poi tutt’al più potrebbe essere un grande complimento), la necessaria premessa è che qui non si vuole opporre l’antico al moderno o ripresentare la vecchia polemica se sia meglio l’uomo o la macchina.
La critica di Pirandello alla modernità disumanizzante
Permetteteci, però, di salutare positivamente la traccia del tema di maturità dei giorni scorsi, quando ai ragazzi si è chiesto di scrivere a proposito di un testo tratto dai “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” di Luigi Pirandello, nel quale emerge forte la critica a una certa modernità disumanizzante che la civiltà delle macchine si portava appresso già nel 1925 quando venne scritto questo romanzo e la cui attualità è fin troppo evidente. Quel che è certo è che, allora come oggi, il “progresso” farà il suo corso ed è anche per questo che la vera sfida di oggi non è contrapporre, ma semmai tornare all’essenza dell’uomo, alla propria natura, al proprio spazio fisico ed energetico: in pratica, comprendere come la possibilità che è data a tutti (al di là di ogni tecnologia, bella o brutta) è proprio quella di nutrire la dimensione umana nelle sue componenti materiale e spirituale, che non nega il progresso, ma che non può diventare la sua vittima predestinata.
Non una guerra da combattere, ma uno spazio in noi
Riconosciamo che la tecnologia (anche quella impensabile fino a pochi anni fa) è parte integrante della vita di ciascuno. Non c’è una guerra da combattere, bensì uno spazio di cercare in noi: un luogo vero e reale, che prende le mosse dal riconoscere ciò che siamo. In fondo, l’uomo stesso è una macchina, ma a differenza di quelle inanimate ha un cuore, un’anima individuale e la possibilità di essere in relazione con una dimensione che tutto contiene e nel cui seno vi è un ordine a cui partecipa ogni cosa e ogni essere. Dunque, non chiudersi in se stessi, ma aprirsi alla vita. In poche parole possiamo essere vivi. Qui e ora. E riconoscere che, come ci insegnano tutti i testi sacri di ogni religione, Uno e Tutto sono in costante interconnessione: a noi la ricerca del filo rosso che ci unisce a questa dimensione.
Materia e spirito danzano ancora insieme
Potenza e atto sono, dunque, in collegamento costante mediante un movimento dinamico che permette all’energia di attraversarci, di abitarci e di sublimarsi. Materia e spirito danzano insieme, ieri come oggi e come domani e finche vi sarà la vita. Il riconoscimento della natura umana rappresenta, perciò, la grande sfida e al contempo la straordinaria possibilità che ci è data da sempre, perché reca con se l’affermazione dell’uomo non sulla tecnologia, ma sulle teorie figlie del relativismo, con tutte le sue diramazioni ideologiche che portano al transumano e al post-umano. Ecco perché, non occorre rifiutare il progresso tecnologico, ma si può viverlo con consapevolezza, riconoscendo che la vera evoluzione è quella interiore, che ci permette di guardarci, sentirci e ritrovarci. In una parola, di essere!