Venticinque anni di “Californication”: fra inferno e paradiso l’epica rock dei Red Hot Chili Peppers

9 Giu 2024 14:48 - di Alessandro Boccia

Venticinque anni fa, i Red Hot Chili Peppers pubblicarono l’album che ha segnato, in modo indelebile, la fine di un secolo di storia della musica leggera. Californication, dato alle stampe l’8 giugno del 1999, oltre ad essere il più grande e fortunato successo commerciale della band californiana (15 milioni di copie vendute in tutto il mondo), possiamo definirlo a pieno titolo uno degli ultimi concept album. Con il suo mosaico di 15 brani, fotografa tanti momenti e ci regala “l’epica” delle vite che si muovono sullo sfondo di una California, e in particolare di una città: Los Angeles, fatta di luci abbaglianti ma anche di ombre terribili, di cui Anthony Kiedis, autore dei testi, è testimone e narratore. Proprio la title track racconta di un inferno nascosto dietro il paradiso artefatto dello stile di vita californiano, di una Hollywood distopica dove i sogni di fama e successo svaniscono nel nulla e di erotismo malato. Non a caso il termine fornication indica il rapporto sessuale tra due persone fuori dal matrimonio e quindi peccaminoso.

Oltre questo, Californication, è anche la storia di un amico ritrovato. Il ritorno del chitarrista John Frusciante, riuscito a riemergere dal tunnel oscuro dell’autodistruzione in cui stava precipitando da anni, e a trovare la sua personale redenzione proprio nella sua fede musicale. Per capire lo spirito che si cela dietro l’album, occorre fare un salto indietro nel tempo e tornare al 1992. Durante il tour dell’altro grandioso album dei RHCP, Blood Sugar Sex Magic, durante la tappa in Giappone, Frusciante, stanco della notorietà, esausto a causa dei pressanti impegni della band e offuscato da alcol e droghe, decise di mollare tutto e tornarsene a casa. «Devo tornare a casa subito, non posso più andare avanti così, morirò se non uscirò da questa band, adesso» così disse agli altri componenti della band e la stessa frase venne riportata nel libro autobiografico Scar Tissue di Anthony Kiedis.
È il riproporsi di una maledizione che sembra abbattersi, in particolare e anche stavolta, sul chitarrista dei Chili Peppers. Era, infatti, il 25 giugno 1988, quando l’indimenticato Hillel Slovak, amico fraterno di Kiedis e Flea, morì a causa di un’overdose di eroina. Fu proprio un giovanissimo, appena diciottenne, Frusciante a raccoglierne, l’anno dopo, l’eredità, in quanto suo fan e zelante discepolo. Incassato l’addio di Frusciante, Kiedis, Flea e Chad Smith, tutt’altro intenzionati a porre fine al progetto, decisero di rivolgersi ad un altro musicista e scelsero il chitarrista dei Jane’s Addiction, Dave Navarro. La nuova formazione, nel settembre 1995, diede alla luce un album diverso, lontano dalle sonorità dei lavori precedenti, più cupo e ricco di influenze hard rock. C’era molto di Dave Navarro in One Hot Minutee il suo tocco decisamente più heavy e dark si poteva percepire in numerose tracce. L’album, comunque molto bello, piacque al pubblico ma non alla critica che, nei fatti, decise di bocciarlo.
Se in quegli anni i Chili Peppers sembravano aver smarrito la loro magia, era proprio John Frusciante a vivere il suo personale incubo. Il demone dell’eroina e della cocaina stavano portando Frusciante verso una lenta e inesorabile decomposizione fisica. Fortunatamente, un urgente ricovero nel 1998 e la riabilitazione aiutarono il talentuoso chitarrista a risorgere. Nell’aprile dello stesso anno, in seguito ad un incontro con Flea, che mai aveva tagliato i ponti con il suo amico fraterno, Frusciante ebbe di nuovo l’occasione di riunirsi ai Red Hot Chili Peppers, che intanto avevano liberato Dave Navarro. Il figliuol prodigo accettò l’offerta e la band, nuovamente riunita, di lì a pochi giorni si mise al lavoro per quello che sarebbe stato il suo settimo disco, appunto Californication.
La genesi dell’album avvenne presso le abitazioni, o per meglio dire nei garage, dei rispettivi componenti del gruppo e dalle lunghe e accaldate jam session nacquero buona parte delle tracce del disco. Era l’estate del 1998 e Californication stava nascendo come un album fatto in casa, ricco di influenze e con uno stile decisamente nuovo per la band. La produzione venne affidata al consolidato Rick Rubin, eclettico e barbuto re mida del rock che tramuta in oro qualsiasi album passi sotto le sue sapienti mani. Ne sanno qualcosa band come Slayer, Beastie Boys, Johnny Cash e Metallica. Rubin chiuse i Chili Peppers, dal dicembre 1998 al marzo 1999, negli storici Cello Studios di Los Angeles (oggi nominati EastWest Studios), dove, nel 1966, Brian Wilson registro alcune parti di Pet Sounds dei Beach Boys e del suo album solista Smile. Anche se furono ben 6 i singoli, tutti divenuti dei classici, estratti dall’album, il vero pregio è costituito dalle 15 tracce nella loro interezza, ognuna caratterizzata da influenze che gli stessi Peppers non esitarono a rivelare (Public Enemy, Eric Clapton e i Cream, tantissimo i Cure). Se a farla da padrone è la ritmica incessante di Chad Smith, in pezzi come Otherside, e il basso incalzante di Flea, che in Around the World raggiunge uno dei momenti più alti, sono le parti di chitarra di Frusciante, in particolare l’assolo con lo slide in Scar Tissue, oppure l’uso del pedale wah wah in Get on top, che penetrano nella mente dell’ascoltatore, rivelando quella tecnica cristallina fortunatamente non compromessa dagli abusi.
In definitiva Californication rappresenta la sintesi di una perfetta armonia musicale, un fuoco sacro che a distanza di anni arde e brucia ancora la pelle di chi lo ascolta, lasciando indelebili cicatrici.

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