Caso Khelif, il silenzio delle nuove femministe. Ma c’è chi si ribella: “Uno sconcio”
Da “Non una di meno” a “Non una ti meno”. La battuta circola sui social e dà il senso dello sconforto rispetto al silenzio di alcune femministe sul caso di Imane Khelif, la pugile algerina per la quale i test del dna, effettuati in occasioni dei mondiali di Nuova Delhi, “avevano provato che avevano i cromosomi xy”, dunque maschili. Khelif, che secondo la rete gaynet non sarebbe trans ma intersex, è stata ammessa a combattere alle Olimpiadi contro le donne, nonostante anche il Cio annoti i risultati del “gender test” dei mondiali. Quello di Khelif non è l’unico caso in questo senso: anche la taiwanese Lin Yu-ting, alla quale ugualmente sono stati riscontrati cromosi xy, ha avuto accesso ai combattimenti nella categoria pesi piuma femminili. Combatterà venerdì. Khelif, invece, combatterà domani contro l’italiana Angela Carini. In occasione dell’esclusione dai mondiali, il presidente della International Boxing Association, che supervisiona la competizione, Umar Kremlev, disse che i test “avevano provato che (le due atlete) avevano cromosomi XY e per questo erano state estromesse dagli eventi sportivi così da garantire integrità e equità della competizione”.
Le donne messe all’angolo. Del ring
Il caso delle trans – o intersex, come sembra emergere ora – ammesse alle gare sportive femminili riapre un dibattito già ampiamente affrontato e rispetto al quale sembrava che qualche passo avanti a tutela delle donne (perché di questo si tratta) fosse stato fatto, dopo una stagione nefasta in cui l’ideologia gender aveva preso il sopravvento. Il pensiero va al caso Lia Thomas. Invece, nella Parigi inclusiva di Macron, le donne si ritrovano di nuovo all’angolo. In questo caso di un ring, con l’aggravante che la concorrenza di atlete che per la scienza hanno i cromosomi di un uomo potrebbe comportare anche rischi per l’incolumità fisica dell’avversaria.
“Uomini che menano le donne Olimpiadi Edition”: la voce di quelle che dicono no
Di tutto questo c’è consapevolezza nel mondo del femminismo storico, da sempre in prima linea contro la deriva gender, e di quello che guarda al maschile e al femminile in termini di complementarità e non di opposizione e, soprattutto, non certo di sovrapposizione. Il coordinamento Daria sintetizza quello che sta accadendo in una locandina che recita “Uomini che menano le donne Olimpiadi edition. Benvenuti nell’era della disuguaglianza sportiva in nome dell’inclusività”.
La rabbia di Marina Terragni e delle femministe storiche per le atlete trans alle Olimpiadi
I social di Marina Terragni, giornalista e scrittrice femminista, in queste ore sono pieni di post contro la scelta del Comitato olimpico: oggi, tra l’altro, ha condiviso il comunicato del ministro Roccella sul tema, suggerito che “potrebbe diventare uno sport a sé: uomini che picchiano le donne” e rilanciato un editoriale del Foglio intitolato “Fare a pugni con la realtà” e accompagnato da un appello a Malagò per “il ritiro della nostra atleta a salvaguardia della sua incolumità”. Ieri Terragni ha postato un commento nel quale sottolineava che “alle Olimpiadi due pugili trans MtF (male to female, da uomo a donna, ndr) stanno per battersi con due donne. Uno sconcio senza pari” e un link a un articolo sul “Perché il gender è la nuova omofobia (oltre che essere tremenda misoginia” della rete RadFem. Anche sulla pagina facebook di questa realtà, che spiega di essere “solo con donne”, la contrarietà alle atlete trans che combattono con le donne è totale: “Olimpiadi sempre più ideologiche, sempre più misogine”, è il commento al post rilanciato dell’atleta americana Riley Gaines, per la quale il caso di Imane Khelif è “solo un altro motivo per boicottare le Olimpiadi”.
Trans o intersex “la sostanza non cambia”
Quando poi è emerso che le due atlete potrebbero non essere trans, ma intersex Terragni non ha comunque cambiato parere e, anzi, ha chiarito che “secondo Monica Cirinnà (ma anche gaynet, ndr) Imane Khelif, che domani sfiderà la nostra Angela Carini, non è trans ma ‘intersex socializzata femmina alla nascita’. Anche fosse così, la sostanza non cambia: potrebbe essere che i genitali esterni di Khelif somiglino più a quelli di una femmina che a quelli di un maschio. Ma i suoi cromosomi sono XY, quelli di un maschio, il suo corpo ha un aspetto maschile, la sua forza fisica – come già dimostrato – è ben superiore a quella di una donna: i livelli di testosterone sono del tutto secondari”. “Non è un caso che ai mondiali di pugilato dello scorso anno Khelif non abbia potuto gareggiare. Tutto questo rende la sfida del tutto unfair e mette potenzialmente in pericolo l’atleta azzurra”, ha aggiunto, concludendo con un ps: “Quasi sempre gli intersex vengono ‘socializzati femmine’, e per una semplice ragione: ricostruire genitali femminili partendo da una base incerta è senz’altro meno complicato che ricostruire genitali maschili”.
Il silenzio dei collettivi femministi
Epperò a fare più rumore, come spesso accade, sono i silenzi. Tanto più se si riscontrano proprio da parte di quelle realtà che negli ultimi anni hanno avuto maggiore visibilità. Navigando sui social dei collettivi Se non ora quando e Non una di meno, infatti, allo stato attuale, non si trova traccia della questione, eppure il primo è attivissimo nel commentare i risultati delle atlete italiane, anche quelli di oggi. Quanto a Non una di meno, che del resto si fregia del titolo di “movimento femminista e transfemminista”, l’ultimo post è un report dell’8 luglio su “femminicidi lesbicidi trans*cidi”. Una menzione, poi, la merita anche un altro soggetto politico che ultimamente è stato presente (anche) sulle questioni femminili: il collettivo dei giovani comunisti CambiareRotta, che si è imposto alle cronache soprattutto per le piazze pro-Pal e che non ha difettato di impostarle anche in chiave femminista. Anche loro di quello che sta accadendo a Parigi non sembrano essersi accorti, forse perché troppo impegnati ad esultare per la vittoria di Maduro in Venezuela.
(In foto, un dettaglio della locandina del coordinamento Daria)