Chi è J.D. Vance e chi si crede di essere: la sua autobiografia è una bella lezione per la destra italiana

17 Lug 2024 14:18 - di Andrea Venanzoni

Ballata della Cintura della ruggine (una lezione per la destra italiana)

Lungo le infinite direttrici stradali disposte quasi a raggiera originanti da nessun-centro preciso, tutte piatte, grigie, distese fin oltre la linea d’orizzonte, scorre un panorama reso omogeneo da una archeologia industriale ormai in disfacimento; ovunque, distese piatte di verde rigoglioso ma incolto e fabbriche dismesse, su cui fanghiglia e ruggine attecchiscono quasi a simboleggiare la fine di un’epoca.
Un cancro le cui metastasi si espandono a fagocitare intere regioni, trascendenti i confini, dai monti Appalachi all’area dei Grandi Laghi, inglobando città un tempo floride come Buffalo, Detroit, Cincinnati, Akron, Cedar Rapids, Pittsburgh.
È la Rust Belt, la cintura di ruggine; una regione olografica che priva di unità giuridica e istituzionale si aggrega, ora espandendosi ora ritirandosi, attorno al declino industriale, prendendo il posto della Steel Belt, la cintura delle grandi fabbriche di acciaio, e diradandosi demograficamente nel ventre della Sun Belt, la cintura meridionale degli Stati agricoli dove molti abitanti si sono inurbati precipitosamente quando le cose iniziavano a mettersi molto male.
Un tempo fiore all’occhiello della produzione industriale statunitense, la cintura della ruggine è rifluita in una dimensione di crisi economica, sospinta da un insieme di fattori tra loro cospiranti; processi radicali di de-industrializzazione causati da spostamento di molte industrie negli Stati del Sud e poi successivamente fuori dai confini americani, massivi processi di automazione, la mono-specializzazione della classe lavorativa dei blue collar di queste aree industriali, ormai espunti dai processi produttivi in quanto incapaci di riorientarsi o di essere riorientati alle nuove dinamiche di produzione.
Non casualmente, il momento più drammatico e intenso di crisi della Rust Belt, dal punto di vista produttivo, culturale e sociale, è corrisposto allaespansione della Silicon Valley e delle grandi società specializzate in tecnologie informatiche.
Una crisi conosciuta anche dai grandi Stati rurali, come l’Ohio o l’Iowa. La quasi totalitaria costruzione di economie speculative e dematerializzate, tecnologicamente avanzate, ha messo in ginocchio tanto il vecchio mondo industriale quanto quello rurale, basati entrambi su una economia patentemente reale.
Vance che è nato e cresciuto in quel mondo decaduto e si è poi specializzato e spostato nel cuore di quell’altra America, quella ricca, di successo, votata alla internazionalità, sembra in questo essere, soprattutto grazie alla saldatura garantita da Thiel, una perfetta interfaccia tra questi due mondi.
Ecco, qui va aperta una riflessione che in tempi di gran parlare italico di egemonia si impone.
Come ricorda Alessandro Aresu, che al fenomeno ha dedicato un saggio apparso su Limes nel 2020, ‘Non è possibile riprogrammare il sogno americano’, l’appeal e l’allure della Silicon Valley sono andati progressivamente scemando nel cuore della società americana, tanto da aver portato una sua parte, quella che fa capo a Thiel e che si è proposta come contro-canto interno, a guardare verso quelle località un tempo neglette e dimenticate.
E Aresu correttamente sottolinea l’importanza della produzione libraria e culturale in questo nuovo fermento, in cui l’ambizione di essere riconosciuti come dei teorici non si esaurisce nel brivido della intellettualità conchiusa e autoreferenziale ma si inerpica lungo la dorsale del produrre davvero modelli egemonici in termini economici, industriali e politici.
Da un lato attorno Thiel gironzolava l’’Illuminismo oscuro’di Nick Land (in Italia edito da Gog) che per quanto flamboyant nella sua nuova declinazione libertarian-neofeudale dell’accelerazionismo ha comunque giocato un ruolo non banale nella epopea elettorale del 2016/2017, tra trolling ed estremismo digitale.
Ed ora Vance che invece, più pragmaticamente, è non solo sogno americano che si realizza ma promessa di redenzione, riscatto e unificazione, quasi pacificazione, tra i dimenticati e i salvati.
La lezione per la destra italiana è esattamente questa. Superamento dell’attitudine ombelicale che contraddistingue gli afflati ‘egemonici’ culturali e loro sistematizzazione in un dispositivo complesso ma del pari molto, molto pratico.

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