Chi è J.D. Vance e chi si crede di essere: la sua autobiografia è una bella lezione per la destra italiana

17 Lug 2024 14:18 - di Andrea Venanzoni

Spettri di carta: l’America profonda attraverso i libri (e non solo)

Non di solo Vance vive l’uomo. Per capire la profonda consistenza di questa America obliqua, nebbiosa, chiusa spesso in e su stessa ci sono anche altri pregevolissimi testi. E non solo libri.
La palude dei ricordi e dei racconti di ‘Questa terra’ (Einaudi), abissale romanzo di Andrew Krivak sulla vita negli Appalachi, o le pagine di ‘Ruggine americana’ (Einaudi), di Philipp Meyer, romanzo definitivo sulla Rust Belt, o quelle non meno sfolgoranti e ctonie di ‘Ohio’ (Einaudi), di Stephen Markley.
Una menzione al merito per ‘DemonCopperhead’ (Neri Pozza), di Barbara Kingsolver, romanzo che ha meritatamente vinto il Pulitzer nel 2023: storia di un ragazzo originario degli Appalachi meridionali che come una freccia attraversa la vita e l’America, e che il Times LiterarySupplement ha giustamente descritto come ‘un David Copperfield trapiantato negli Appalachi devastati dalla povertà e dalla droga’.
‘La nostra festa da ballo dello squadrone Hillbilly’.

La quest, la ricerca, il viaggio, alla ricerca della propria dimensione e della felicità, è topos archetipicamente americano, ma negli ultimi anni è forma declinata a partire proprio dal disagio e dalla solitudine, dall’isolamento. Bene lo sa il Noah Hawley di ‘Inno americano’ (Einaudi), cupissimo ‘Cuore di tenebra’ nel ventre statunitense alla ricerca di una utopica redenzione.
E come dimenticare ‘Partenze notturne’ (Feltrinelli), sottovalutatissimo capolavoro di Stephen Wright, nome di punta del postmodernismo statunitense? Una esplosione che frantuma le certezze di una quieta e assonnata America e che trasforma il protagonista, Wylie Jones, in una scheggia furente agitata nei bassifondi urbani, senza più ragione, né centratura, alla deriva nelle notti e nelle insegne neon.

Quell’America si trova anche negli accordi di Oliver Anthony, la cui struggente e potentissima ‘Rich Men North of Richmond’ è risuonata come un inno intergenerazionale, una struggente celebrazione dei lavoratori abbandonati dallo Stato e ha raggiuntocentocinquantadue milioni di visualizzazioni su YouTube, divenendo virale su qualunque piattaforma social e facendo di lui una autentica star di quella America dimenticata.
Matthew Desmond, nel suo ‘Sfrattati – miseria e profitti nelle città americane’ (La nave di Teseo), ha invece investigato il fenomeno di lumpenproletarizzazione che morde sempre più città.

E se un tempo si pensava che il miserabile bifolco che distilla clandestinamente moonshine nel folto dei boschi nebbiosi fosse quasi una creatura mitologica, si pensi alle scene iniziali de ‘Un tranquillo weekend di paura’, la disintegrazione sociale, la scomparsa dal reale, la totale assenza dal radar della considerazione di ceto politico e ceto intellettuale sta costruendo equivalenti psichici di Rust Belt e distretti rurali anche nel cuore delle grandi aree urbane.
Lo sa molto bene George Packer che in ‘I frantumi dell’America – storie da trent’anni di declino americano’ (Mondadori) snuda e snocciola il volto oscuro di una situazione in cui ‘i perdenti precipitano a lungo prima di toccare terra’.

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