Da Scampia alla Salis. Con le Vele iniziò l’orrore urbanistico del Pci e il dogma delle “okkupazioni”

23 Lug 2024 19:17 - di Luca Maurelli

La cattolicissima, pia, moderata, sibilante Rosetta Iervolino, in un giorno di pioggia del 2001, pochi mesi dopo essere diventata sindaco di Napoli, diede improvvisamente fiato alle trombe sottoponendo le sue fragili ugole a uno sforzo disumano pur di gridare la propria indignazione. “Sono contro la pena di morte, ma il progettista delle Vele lo fucilerei!”. I giorni che seguirono furono densi di polemiche e di aerosol, per Rosetta. Aveva sfidato il tempio dell’edilizia popolare rossa manifestando il proprio sdegno come mai nessuno, in quella sinistra che dagli anni Settanta governava a Napoli, aveva osato fare nonostante avesse assistito, come tutti i napoletani, al fallimento clamoroso di quei progetti nati per dare casermoni “socializzanti” alle famiglie meno abbienti nelle zone periferiche di Napoli.

A Scampia le Vele decollano grazie al sostegno del Pci

A Scampia, a metà degli anni Settanta, era decollato il progetto Vele, sette mostri spacciati per architettura avveniristica progettati dal palermitano Francesco Di Salvo a cui le giunte rosse di Maurizio Valenzi, l’intoccabile primo cittadino che gestì gli anni a cavallo del terremoto, avevano affidato la resurrezione del mattone, con urbanisti e architetti di fiducia a cui assegnare assessorati, incarichi e università. Fu l’inizio della fine per Napoli, per Secondigliano e per Scampia, che oggi piange per l’ennesima volta le vittime di quei ghetti rossi ancora lì, tre su sette, a testimoniare le lacrime di coccodrillo di una sinistra che anche oggi annuncia demolizioni e ancora oggi non rinuncia a quella idea di luoghi simboli – come la disastrosa operazione Bagnoli dimostra – da preservare non si sa bene a quale memoria, visto che più che ricordi anche le Vele suscitano ancora oggi soltanto incubi.

Il crollo di stanotte, quello sì, ha un alto valore simbolico per chi ha la memoria storica della città e paradossalmente aggancia vicende politiche attualissime, come quella dell’okkupatrice scatenata Ilaria Salis. 

Le occupazioni di ieri e quelle di oggi di Ilaria Salis

Le Vele di Scampia furono riempite all’inverosimile di gente tra il 1976 ed il 1980 con il comunista Maurizio Valenzi: secondo uno studio del ricercatore del Dipartimento di urbanistica dell’Università di Napoli, Vincenzo Andriello, il 28, 5% degli inquilini delle Vele vi fu trasferito, cioè deportato, dal Centro storico. La maggioranza delle case – parola grossa, perché lo stile dell’edilizia residenziale amata dalla sinistra era quella delle cellette – fu però assegnata sulla base delle “okkupazioni”, perché Valenzi – come scrisse lui stesso nel libro “Confesso che mi sono divertito” – non disdegnava la filosofia-Salis, quelle delle occupazioni di necessità senza se e senza ma. Le Vele erano un progetto ispirato all’Existenzminimum, una corrente architettonica per la quale l’unità abitativa del singolo nucleo familiare avrebbe dovuto essere ridotta al minimo indispensabile, in una visione collettivista, socializzativa, nell’ottica dell’edilizia “brutalista” che negli stessi anni segnava la realizzazione di quartieri ghetto nei paesi dell’area sovietica. Case piccole “self service”, entra e occupa, poi si vede.

Il via libera alle occupazioni abusive da parte dei senzatetto, a Scampia ma anche lungo il litorale domizio, se da un lato veniva incontro alla forte richiesta di case da parte di chi non le aveva o negli anni successivi a chi aveva dovuto lasciarle a causa del terremoto, dall’altro introdusse quel meccanismo di esproprio proletario che ancora oggi è alla base della filosofia delle “okkupazioni” illegali che hanno portato Ilaria Salis in Europa. Le Vele, ben presto, diventarono mongolfiere. Nel 1981 Il Mattino si esprimeva così. “Centinaia di famiglie ammassate come polli in batteria… La privacy non esiste. Metti un camorrista in queste gabbie e tutto il quartiere viene controllato dal mafioso”.

Da centro di socializzazione a piazza di spaccio

Ovviamente, nessuno, tantomeno l’architetto Di Salvo avrebbe immaginato che l’architrave del suo progetto delle Vele, la creazione di centri aggregativi e spazi comuni, spazio di gioco per bambini e altre attrezzature collettive, sarebbe stato trasformato, negli anni, nel progetto per la creazione della più grande piazza di spaccio del mondo. Oggi Scampia, con le sue Vele abbattute o rimaste in piedi, è oggetto di tour turistici nel quartiere più degradato d’Italia – come Corviale di Roma, lo Zen di Palermo – edificato in quella logica anni Ottanta dell’omologazione culturale anche della povertà, a fini elettorali, s’intende. Il primo a chiedere l’abbattimento di una Vela fu il sindaco Bassolino nel 1997, ma ci sono voluti sei anni per demolire tre dei sette mega-edifici dopo l’esternazione della Iervolino. Le ruspe, poi, si sono fermate.

L’amministrazione Valenzi (nella foto in alto insieme a Bassolino) tentò di intervenire anche negli ultimi anni del suo mandato per migliorare la situazione delle Vele e delle altre aree periferiche della città, ma con risultati limitati a causa delle risorse finanziarie limitate e delle complesse dinamiche sociali di chi, da quelle case, non voleva andar via e faceva “resistenza”. Oggi, a distanza di quarant’anni, le Vele vivono un nuovo momento di triste popolarità, dopo quelli regalatigli da Roberto Saviano con i racconti di Gomorra. Da oggi, il ballatoio crollato è un’attrazione turistica, gli annunci dei politici simpatici momenti estivi di cabaret, la voglia di non cancellare il passato con una ruspa, a sinistra, una squallida consuetudine.

 

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