Il giallo dell’estate. “A luglio non succede mai niente”, il Carosello tragico di Cristina Stillitano

14 Lug 2024 15:57 - di Antonella Ambrosioni
Giallo Stillitano

“Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue”. (Dino Buzzati)

L’ otto luglio del 1957 il Male si insinua in una palazzina di viale Bruno Buozzi, Parioli. Siamo in una Roma assolata, lunare, semideserta. L’orrore proveniente dal pianerottolo dell’abitazione si spalma sulla via, sul quartiere, sulla città. Una famiglia viene sterminata. Un urlo, nel silenzio, squarcia le coscienze. Un avvocato, sua moglie e il figlioletto Benedetto vengono assassinati. Una bolgia di sangue che risparmia solo il piccolino, trovato senza vita nella sua culla. Come se l’assassino o chi per lui lo avesse riposto con cura e poi coperto. La portiera e la verduraia sono atterrite quando scoprono lo scempio. ”Erano donne e avevano visto e vissuto. L’orrore era scivolato tante volte davanti ai loro sguardi. La guerra, gli inganni della speranza, l’odio della gente, le sorprese della morte. Ma questa era un’altra storia. Questo, davanti a loro, era un incubo vivo”. Solo la figlia viene trovata ancora viva dolorante, ferita e priva di memoria.

Il nuovo libro di Cristina Stillitano consolida il suo talento

Succede tutto nelle prima pagine. La penna felice e acuminata è quella di Cristina Stillitano che non delude i suoi lettori con questa nuova avvincente fatica dal titolo spiazzante: “A luglio non succede mai niente” (Piemme, pp. 366, 14 euro). Il male non conosce stagioni e in questo “incubo vivo” entra con tutta la sua complessa personalità una vecchia conoscenza: Agostino Clodoveo, il detective a cui la scrittrice ha dato anima e corpo in una serie di avventure confluite lo scorso anno in un altro felice romanzo, “La giostra del perdono”.

Indagine esistenziale che varca i confini del “giallo”

Parliamo di una “scrittrice” e non di una “giallista” non a caso. Perché in queste pagine più che nelle precedenti prove narrative la dimensione letteraria è presente nella cornice, nelle sfumature, nei pensieri, nella percezione del dolore, nell’angoscia e nella solitudine esistenziale in cui si dibatte il protagonista. L’autrice supera l’esame di maturità. Non è solo abile nell’imbastire un caso che lascerà sgomenti per la sua conclusione. Ma in questa linearità che conduce a uno scioglimento finale sa  inserire diversi e profondi piani di lettura.

I dèmoni del passato si risvegliano

E’ il suo protagonista il prisma dal quale si scompongono e ricompongono elementi diversi: orrore e dolore, memoria, dubbi personali e professionali, immersione nei demoni del passato, maledettamente risvegliati da questo caso orribile. Tutto si mescola in questo “pasticciaccio brutto” di gaddiana memoria in cui il commissario Clodoveo è chiamato a fare i conti con se stesso. A pochi giorni dal suo matrimonio. Il che complica tutto, in una drammatica corsa contro il tempo che avvertiamo pagina dopo pagina come un fardello che tutti ci coinvolge quando abbiamo a che fare con il Male.

La Roma Anni ’50 rivive come un album in bianco e nero

L’imprinting inconfondibile di Cristina Stillitano è la cornice di una Roma anni ’50 che ci scorre davanti in bianco e nero, come sfogliando un antico album di fotografie conservato a casa di nonni e vecchie zie. Vi compaiono le prime 500, i taxi verdi e neri, i primi elettrodomestici, le prime tv; oggetti ormai in disuso come i ciripà, i pannolini di stoffa per bambini che si lavavano e si riusavano. Un mondo antico che non c’è più ma che l’autrice ama far rivivere insieme agli umori, allo slang dell’epoca, ai rumori di fondo. Un mondo in cui irrompono le note di Carosello, il programma che dalla 20,50 alle 21  risuonava dalle case di tutti gli italiani. Una colonna sonora del tempo, un appuntamento fisso per le famiglie e per i bambini, per i quali segnava lo spartiacque: l’ora di andare a dormire. Ma questa manciata di minuti spensierati segna anche l’appuntamento con la morte per la famiglia Braschi. Clodoveo sa che l’assassino o gli assassini hanno agito in questo lasso temporale. Un punto fermo da cui partire ma dal quale partono infiniti cerchi concentrici. Sembra di sentirle le note del Carosello risuonare dagli androni dei palazzi, dai pianerottoli delle case, dall’intimità domestica delle case. Un valore aggiunto di  queste pagine.

Il giallo oltre il giallo di Cristina Stilliatano

“Dubbi e ancora dubbi: solo così la mente poteva filtrare libera il flusso di indizi. E qui ce n’erano così tanti da perdere il senno”. Ma il commissario di Cristina Stillitano non può permettersi di perdere il senno. Con l’intuito, la sapienza psicologica e la capacità rara di farsi coinvolgere dagli eventi più violenti e misteriosi Clodoveo avverte umori, odori e sapori che la scena del delitto restituisce a chi sa interpretarli con pazienza. E lui pazienza ne ha da vendere. Massiccio, burbero, trasandato, ansimante e sudato per il caldo, sulla sua lambretta si aggira per Roma senza mai perdere il filo. Un detective che non si compiace, anticonformista e pragmatico, che per questo è entrato nel cuore dei lettori. Con i suoi metodi tradizionali torna più e più volte sulla scena del delitto nel quale sono dispersi i semi del Male.

Il Male dietro l’angolo

E’ questa “presenza”  invisibile ad aleggiare nelle pagine. “Da qualche anno si direbbe egli si sia qui insediato da padrone. Potrebbe essere quell’ombra che scompare adesso dietro l’angolo. Lo sentiamo strisciare lungo la tromba delle scale. Egli gira invisibile, covando il male, e non sarà mai stanco”: sono le parole da brividi di Dino Buzzati sul Nuovo Corriere della Sera, autore molto caro e citato dall’autrice nelle note a inizio e fine volume. L’autore del Deserto dei Tartari ha scritto cronache memorabili e una di queste, nel ’46, descrisse quella che passò alla storia della “nera” come la strage di via  San Gregorio a Milano in cui fu massacrata una madre e i suoi tre figli. Una vicenda che sconvolse l’Italia del tempo, una suggestione letteraria che Stillitano reinterpreta alla sua maniera, con la consapevolezza che all’orrore siamo ormai abituati.  “Eppure il Male era tornato”.

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