Il libro. Giorgio Almirante: il politico, l’oratore e l’attore. E non solo: storia di una famiglia d’arte
Giorgio Almirante, il «Segretario». Giorgio Almirante, l’attore. È tutto vero: lo storico leader del Movimento sociale italiano è veramente cresciuto a pane e recitazione. I documenti e le testimonianze parlano chiaro e rivelano una storia dalle radici profonde. Una pura vicenda italiana. Chi lo ha visto dal vivo o chi ha potuto soltanto visionare – per ovvi motivi anagrafici – uno dei tanti reperti dispersi nel mare del web, avrà notato che oltre all’innegabile ars oratoria, in Almirante c’era molto di più. Ovvero, l’indubbia capacità di parlare con il corpo: con le mani e, soprattutto, gli occhi. E la naturale propensione a pennellare con una sapiente e studiata rimodulazione della voce anche le idee più complesse.
«Sapeva che per riempire i teatri delle piazze italiane occorreva rivolgersi al ciascun spettatore, alla intelligenza di ognuno di coloro che accorrevano ai suoi comizi». Nessuno ne abbia a male, ma solo in pochi – dopo la sua morte – sono stati alla sua altezza. Da destra a sinistra. Uno però c’è stato. E il paragone non vuole suonare affatto blasfemo: Giovanni Paolo II, il papa. Sarà un caso, ma anche Karol Wojtyla ha militato sul fronte teatrale (e lo ha fatto in un momento storico cruciale per la Polonia).
Per il capo missino si è trattato invece di un percorso obbligato, coltivato in casa quale epigono di una famiglia che ha girato in lungo e largo l’Italia sulle carovane teatrali. A raccontarlo – per i tipi di Marsilio – è una penna che condivide il medesimo albero genealogico del leader missino: Pasquale Almirante, giornalista e romanziere siciliano, è autore infatti di Da Pasquale a Giorgio Almirante. Storia di una famiglia d’arte (Marsilio, 288 pp, euro 23). Si tratta della seconda edizione di uno studio che ha fatto capolino già in diverse bibliografie e che viene ripubblicato in occasione del 110 anno della nascita di uno dei volti simbolo della prima repubblica.
Un testo particolarmente documentato e rivisto per l’occasione con delle novità di rilievo. Tra queste c’è la testimonianza di Gianfranco Fini, l’uomo a cui Almirante consegnò il timone della Fiamma Tricolore. E nel farlo gli ha affidato anche parte della propria memoria familiare, quella riguardante appunto le arti. L’episodio si riferisce alla reazione del capo del Msi a un articolo apparso su «Dissenso», la testata del Fronte della Gioventù. «Una giovane attivista che amava il teatro – racconta Fini – si era cimentata con una lunga disamina del teatro italiano nei primi del Novecento e aveva citato il padre del Segretario, Mario Almirante, lo zio Luigi detto Gigetto e finanche la “cugina”, diva del cinema muto, Italia Almirante Manzini. Letto l’articolo, Giorgio Almirante mi telefonò per ringraziare la giovane redattrice e mi pregò di invitarla ‘con garbo’ a documentarsi meglio perché Italia non era sua cugina ma… (non ricordo più il vero grado di parentela)».
Seguendo l’albero genealogico, la diva citata dovrebbe essere la zia. Dovrebbe. Di certo c’è che fu l’indimenticabile interprete di Cabiria (1914), film di Giovanni Pastrone. Ma è un’altra la certezza da tenere in considerazione: «Ad Almirante – aggiunge Fini – non dissi mai che quella ragazza non scrisse più nulla dopo che le avevo riferito della telefonata, forse si vergognava dell’errore, forse non ero stato sufficientemente garbato, forse non se la sentiva di parlare di teatro con Almirante, chissà. Non glielo chiesi quando anni dopo la rividi e seppi che recitava con Carmelo Bene». Un nome da poco, cioè.