La Francia s’è destra. Come l’Italia, così in Europa. Il muro dell’establishment cadrà presto
L’unione delle destre farà la Francia di domani. Ormai è solo un fatto di tempo perché le tappe fondamentali – con l’elezione di ieri che segna il trionfo del Rassemblement National e dell’intesa con i Repubblicani di Eric Ciotti che ha frantumato l’arco costituzionale “da destra” – sono state centrate. Potrebbe accadere addirittura già domenica prossima: se ciò che resta dei neo-gollisti e gli ambienti più razionali dei moderati, davanti all’opzione di consegnare la Nazione ai fanatici della sinistra radicale, agli islamisti, agli antisemiti, faranno la scelta che la grande maggioranza dei francesi (di destra e di centro) chiede da tempo: un governo “nazionale”, trainato da chi ha lavorato di più, e meglio, per allineare domanda e offerta del popolo francese.
È il capolavoro politico di Marine Le Pen e di Jordan Bardella che hanno costruito, passo dopo passo, con elaborazione, prassi e le necessarie evoluzioni dalle scorie nostalgiche e divisive del passato, un movimento interclassista che ha agganciato in un “blocco” la Francia profonda e quella produttiva, i ceti operai e i piccoli imprenditori, la cittadinanza fiera e trascurata dei borghi e quella impaurita e impoverita delle banlieu. Tutti uniti dall’opposizione al dirigismo socialista e alla sua maschera macroniana, al libera tutti – frutto del disarmo nei confronti di minoranze che non intendono aderire ad alcun principio della République – che ha scatenato il caos e l’anarchia nelle strade delle città. Ma anche ai dettami sovranazionali di un’Ue che ha annichilito per troppi anni quel progetto di Europa delle Nazioni ispirato proprio dal generale Charles De Gaulle e ripreso meglio, secondo gli elettori francesi, dalla dinastia Le Pen che dalla vacuità degli epigoni di Les Republicains.
Le elezioni di ieri hanno segnato, e qui non c’è bisogno di alcun ulteriore passaggio, la fine di Emmanuel Macron e del macronismo: in patria e in Europa. Se il capo dell’Eliseo, sciogliendo l’Assemblea nazionale, aveva chiesto un «chiarimento» dopo la batosta ottenuta alle Europee questo chiarimento è arrivato forte e diretto: licenziato. Lui e i suoi “enarchi”: quell’aristocrazia burocratica ed elitista arroccata negli arrondissementen di Parigi, impermeabile alle necessità del grosso dei francesi che hanno ricambiato – più che volentieri – contestandolo in ogni dove e per ogni circostanza. Il presidente è finito terzo, con il suo schieramento, perdendo la guida del governo e la sfida per la sopravvivenza sopravanzato dal circo violento del Fronte popolare.
La sua meteora politica (nonostante sulla carta per tre anni ancora all’Eliseo) finirà così: costretto, come ultimo disperato colpo di scena, ad appellarsi all’ennesima e sempre più grottesca union sacrée. A consegnare il suo riformismo anti-sociale alla piazza dei fanatici antifascisti, antisemiti, filo-Hamas del suo nemico Mélanchon a cui si sono già dovuti sottomettere i cosiddetti socialisti riformisti di Glucksmann. Ad opporsi all’avvento del governo Bardella, insomma, scenderà in campo un “Frankeinstein” formato da radicali di ogni estrazione e da tecnocrati. Un’intesa senza capo né coda destinata a gettare la Francia ancora di più nella confusione. L’esatto opposto di ciò che emerso dall’altra parte: un sovranismo di governo tutto francese ma che si richiama, nella formula e nell’approccio, alle buone pratiche del modello italiano di Giorgia Meloni. A capo dell’unico governo promosso dagli elettori in Europa.
Ecco spiegata, dunque, la fretta che ha spinto Macron ed Olaf Scholz a chiudersi nelle segrete stanze per stabilire – da grandi sconfitti – la nuova architettura della Commissione europea. Una forzatura in clamorosa distonia con la volontà di cambiamento degli europei che hanno premiato, al contrario, le destre popolari, conservatrici ed identitarie. Ieri i francesi lo hanno ribadito, per la seconda volta nel giro di poche settimane: una bocciatura senza appello della linea Macron che rimbomba in tutta Europa. Un’ulteriore crepa nel muro “insonorizzato” dell’establishment. Ormai ridotto a un muretto. Nessuno più potrà ancora far finta di non sentire…