La provocazione. Per l’Autonomia differenziata il Sud riscopra la sua storia: i timori svaniranno

2 Lug 2024 10:02 - di Ulderico Nisticò
autonomia sud

L’autonomia è ormai legge con tutti i crismi, inclusa la promulgazione presidenziale senza alcuna obiezione. Di quello che sarà e che effetti dovrà sortire, speriamo di poter parlare tra qualche anno. Intanto, delle riflessioni. Tutti quelli che, almeno dal XVIII secolo, affacciarono ipotesi sull’unità d’Italia, non parlarono mai di unificazione e di “una e indivisibile”, ma di unità politica per affermare quella che si legge sull’Obelisco di Bitonto del 1734: Italicam libertatem, cioè l’indipendenza da stranieri. Divisa com’era in modo molto variegato, e non dal Congresso di Vienna del 1815 qualmente spacciò una propaganda, bensì all’incompleta conquista longobarda del 568, e con entità statali che non furono prive di meriti politici e militari e culturali, l’Italia poteva essere realisticamente confederata o federata.

Come farlo, nessuno diede corpo alle idee, tranne un breve momento del 1848 (Prima guerra d’indipendenza); poi le cose andarono per tutt’altra via, e nel 1861 l’Italia risultò, attraverso annessioni, un Regno costituzionale politicamente e amministrativamente centralista. Nessuno l’aveva pensata così, forse nemmeno Cavour, però così fu; e nel 1946 il Regno divenne Repubblica ugualmente sempre centralista. C’erano state o vennero delle eccezioni: la Toscana mantenne il Codice Leopoldino dal 1859 al 1890; le province libiche annesse al Regno nel 1938 erano bilingui; la Provincia di Lubiana, annessa dal 1941 al ’43, godette di identità linguistica; e l’autonomia della Sicilia, firmata da Umberto di Savoia sia come luogotenente sia come re, quindi precedente il 2 giugno 1946, è tale che l’isola sarebbe quasi uno Stato federato… Seguirono le Regioni autonome Friuli, Sardegna, Val d’Aosta; e quella Trentino Alto Adige è divenuta di fatto due Province autonome. Molto autonome.

Le altre facevano mostra di sé sulle cartine delle elementari, con variopinti colori, fino al 1970. In quell’anno, i colori diventarono realtà “a statuto ordinario”, anche quando non avevano radici storiche e attuali. Tanto che il Molise già nel 1963 si separò dall’Abruzzo. Le raffazzonate riforme costituzionali del 2001 sancirono, sulla carta, le autonomie regionali. Oggi, con la legge del 2024, una Regione che lo richieda può divenire autonoma; e più d’una è pronta a farlo. Se lo facessero tutte, per esempio la Lombardia e la mia Calabria, ci ritroveremmo, intanto, un’entità di dieci milioni di abitanti e con la potenza economica ben nota, e una di un milione e ottocentomila, e di fatto di meno, e sull’economia stendo un velo, un sudario pietoso.

Non è solo destino cinico e baro, e tanto meno la cattiveria umana. È che il Meridione, e la Calabria in specie, hanno addosso una qualche maledizione datata 1850, il cui effetto è una men che mediocre classe dirigente politica, amministrativa e dalla cultura erroneamente identificata con il titolo di studio. Ebbene, se il problema è politico – e tale è il mio modesto avviso – bisogna apportare rimedi politici. Non è un fatto di soldi: se regalate una Ferrari a uno che non sa guidare, avrà una Ferrari, però sbatte al muro. Proviamo a mettere assieme il Sud, con Molise, Puglia Campania, Basilicata, Calabria. La Sicilia è meglio che resti dov’è; l’Abruzzo è ormai Centro e non Meridione.

Io la chiamo Regione Ausonia, ma il nome è l’ultimissimo dei problemi. Otterremmo ben 11.500.000 anime, e un territorio di 62.773 kmq.  Per gli amanti di storia (quella autentica!) sarebbe l’antichissimo Ducato, poi Principato longobardo di Benevento (774); o il Reame dal 1282 al 1816. La storia ci viene in aiuto; la sostanza consentirebbe all’Ausonia di affrontare senza timore anche l’autonomia differenziata. La prima autonomia, uno statuto di Ausonia che non sia brutta copia degli assetti centralisti: per esempio, pochissimi consiglieri regionali, e ancora meno passacarte. Per chiudere da dove siamo partiti, sarebbe l’unità nazionale senza unificazione burocratica. Come ottenere tale risultato, occorre un poco di fantasia istituzionale, preceduta da un lavoro culturale e scientifico.

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