Le Vele di Scampia, segno urbanistico di un fallimento. Utopie costruite sulla pelle dei cittadini

28 Lug 2024 9:00 - di C. M.*

«Io me voglio salvà», diceva don Ciro, tra le vele di Scampia, nel racconto cinematografico di Gomorra. Non si è salvata invece Patrizia Della Ragione, 53 anni, terza vittima del crollo del ballatoio della Vela Celeste, ricoverata in ospedale con ferite gravi. Per don Ciro l’invocazione alla salvezza aveva a che fare con la faida tra le organizzazioni criminali che si contendevano il controllo dello spaccio nelle vele di Scampia. Per Patrizia e le altre vittime, così come per chi è sopravvissuto al crollo, la salvezza risiedeva forse e ancor di più nel loro abbattimento totale. Nella restituzione ai cittadini di quartieri e complessi residenziali dignitosi e a misura d’uomo.

Ironia della sorte, l’unica vela ancora rimasta in piedi, quella “celeste”, dopo la progressiva demolizione delle altre (7 edifici complessivi, di cui quattro già demoliti, due in demolizione e l’ultima lasciata come “segno distintivo” nel piano di rigenerazione urbana e riqualificazione edilizia avviato con il Piano Perferie per complessivi 18 milioni di euro) avrebbe dovuto rappresentare la “memoria storica”, il segno urbanistico di un fallimento. Ed è proprio in quella che si è consumata la tragedia.

Il griogiore delle utopie urbanistiche

Chiamata Celeste per via del colore che si è voluto dare alle ultime rimaste in piedi dopo l’iniziale programma di sostituzione edilizia: la Vela Gialla, Verde, Rossa e, per l’appunto, Celeste. Come se il colore potesse restituire una dignità cromatica al grigiore del quotidiano, fatto di occupazioni abusive, spazi interrotti, mancanza di presidi di legalità, di luoghi comunitari dove sviluppare coesione sociale, solidarietà e costruire un futuro per i propri figli.

Il grigio delle utopie urbanistiche degli anni 60, 70 e 80. Il grigio del béton armé, la nuova soluzione estetico funzionale degli architetti “impegnati”, quelli, per capirci, che traggono le loro ispirazioni urbanistiche per le case popolari affacciandosi dalle loro finestre che danno su Piazza di Spagna, o che hanno casa e studio in palazzine seicentesche accanto a Campo de’Fiori, ma che quando progettano per “il popolo” danno vita a complessi edilizi alienanti, disumanizzanti e affetti da gigantismo architettonico. Dove vengono ipotizzati spazi comuni destinati ad un’utenza immaginaria.

Uno scollamento ideologico e culturale dalla realtà quotidiana e dalle esigenze delle classi sociali per le quali si progetta. Scampia come Corviale, come viale Giorgio Morandi a Roma e lo Zen a Palermo. Ma gli esempi possono essere tanti. Brutalismo, lo chiamano. A Corviale i lunghi ballatoi che dovevano garantire, secondo le ispirazioni degli illuminati progettisti, la coesione sociale e la circolazione tra gli abitanti del chilometro, vengono chiusi abusivamente; il 4º piano libero, occupato fin dai primi giorni della sua inaugurazione, demolito e trasformato con cambio di destinazione d’uso in alloggi, dopo la constatazione del suo inevitabile fallimento.

E’ giunto il tempo della sostituzione edilizia

Le utopie costruite sulla pelle dei cittadini costretti a viverci, demolite a furor di popolo: le Vele, il 4º piano di Corviale, i ponti del Laurentino 38, le spine centrali di viale Giorgio Morandi, rientrati nel piano di riqualificazione… e chissà quale sarà la prossima. Sul collettivismo urbanistico cala il sipario del fallimento, mentre si affaccia una nuova necessità architettonica: la sostituzione edilizia. Costruire, non de-costruire. Quartieri a misura d’uomo, dove la piazza torni a svolgere il suo scopo aggregante di agorà pubblica, dove sorga la presenza religiosa, il negozio di quartiere in luogo del centro commerciale e dove si manifesti il presidio civile di sicurezza. Dove, unitamente alle necessità di costruire secondo principi di economicità e rapidità d’esecuzione, si ricerchi ancora il bello. Il ritorno della bellezza anche nei dettagli costruttivi, nella progettazione del verde urbano così come dell’arredo.

Milioni di euro per riqualificare l’ultima Vela di Scampia, milioni e milioni per l’efficientamento energetico di mostri urbanistici come Corviale. Milioni per abbattere e riqualificare i ponti del Laurentino 38…Idrovore di denaro pubblico, idrovore energetiche e produttori seriali di degrado e disagio abitativo. Uscire dall’utopia distopica delle periferie del secolo precedente si può, anzi, si deve. Lo dobbiamo alle Patrizia che ci hanno lasciato, ma soprattutto a quelle che ancora ci vivono.

*Architetto

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