Mafia e appalti nel ’92, l’ex procuratore Pignatone indagato a Caltanissetta
Giuseppe Pignatone, uno degli ex magistrati più autorevoli e prestigiosi d’Italia, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta con l’accusa di avere insabbiato le indagini su mafia e appalti (sulle quali si erano concentrate le attenzioni di Paolo Borsellino) e di avere favorito le cosche. Insieme a Pignatone, risultano indagati l’ex magistrato antimafia Gioacchino Natoli e il generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti. L’ex capo della procura romana è già stato ascoltato dai giudici nisseni.
Le accuse a Pignatone e il concorso con Gianmanco
Secondo la procura di Caltanissetta, Pignatone, Natoli, Screpanti e Pietro Gianmanco (deceduto sei anni fa) avrebbero insabbiato le indagini sui rapporti tra mafia e imprenditoria e precisamente sui rapporti tra gli imprenditori mafiosi Nino e Salvatore Buscemi e il gruppo Ferruzzi guidato da Raul Gardini. Secondo i magistrati quella inchiesta fu determinante per la strage di via D’Amelio. Gianmanco fu al centro di polemiche allorquando, nel 1990, il Csm lo preferì a Falcone alla guida della procura di Palermo. Caponnetto lo accusò di avere sostanzialmente affossato il pool antimafia. La vicenda che vede indagato Pignatone, attualmente giudice in Vaticano, fu ricostruita davanti la Commissione nazionale Antimafia, nel settembre 2023, dall’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino.
Da Reggio Calabria al “mondo di mezzo” sino alla Santa Sede
Giuseppe Pignatone è stato procuratore distrettuale di Reggio Calabria, sede nella quale portò avanti inchieste contro la ‘ndrangheta facendosi apprezzare per equilibrio e garantismo. Di lì il grande balzo verso la nomina a procuratore di Rona, città nella quale si contraddistinse per l’inchiesta sul “mondo di mezzo” che vide coinvolti Buzzi e Carminati. Un’inchiesta che proponeva l’esistenza del 416 bis (associazione mafiosa) anche per Roma, elemento che poi la Cassazione smentì, annullando le condanne relative all’aggravante e stabilendo che nella capitale le associazioni a delinquere non avessero la connotazione mafiosa. Subito dopo essere andato in quiescenza, Pignatone è diventato Presidente del Tribunale di prima istanza della Santa Sede e ha seguito il processo che ha portato alla condanna dell’ex cardinale Becciu.