Serve un “Via col vento” sull’Italia del 1861: appunti su una storia poco nota e molto travisata
Che la storia d’Italia sia poco nota è colpa della scuola, che semplicemente non racconta i fatti dei secoli XVIII e XIX (del XX, diremo un’altra volta); e, più in generale, della mancanza di una tradizione storiografica di tipo letterario e cinematografico, con qualche eccezione. In tale carenza, prosperano narrazioni totalmente o parzialmente campate in aria; e comunque ideologizzate, quindi, per postulato, false.
Vorrei contribuire, nel mio piccolo, a partire dal fatale – e non per questo conosciuto – 1734, quando Carlo di Borbone divenne re di Napoli e, separatamente, re di Sicilia; seguiva, nel 1737, la dinastia di Lorena in Toscana, in luogo di quella gloriosissima ormai esangue dei Medici; nel frattempo, e con vicende altalenanti, i Savoia conquistavano il titolo regio sulla Sardegna, e territori lombardi fino al Ticino. Era ancora capace di dire la sua l’antica Venezia. Era stata dunque affermata quella che l’Obelisco Carolino di Bitonto chiama Italicam libertatem, l’indipendenza politica. Era un’Italia anche più vasta: i Savoia possedevano la regione alpina loro culla, e Nizza; Genova, la Corsica; erano di Venezia la Dalmazia e le Isole Ionie; era indipendente Ragusa; l’Ordine di Malta era feudo del Regno di Sicilia; e la Chiesa governava Avignone.
Le burrascose invasioni giacobine e napoleoniche modificarono in vario modo tali assetti territoriali; e gli Stati che ne derivarono, per quanto nominali e di fatto dominio francese, subirono un fenomeno nuovissimo: la fine del feudalesimo e di altre entità istituzionali, e, per farla breve, la “centralisation adminstrative”, come si legge sulla tomba di Bonaparte.
Altre vicende, più di trattati che d’altro, fecero sì che, tra il 1814 e il ’15, nascessero o venissero fatti nascere: Regno di Sardegna (l’isola, e attuali Piemonte con Aosta, e Liguria, e Savoia e Nizza); Principato di Monaco; Granducato di Toscana; Principato di Massa; Ducato di Lucca; Ducato di Parma; Ducato di Modena; Repubblica di San Marino, vero miracolo storico e del Santo!; Stato della Chiesa (Ferrara, Bologna, Romagna, Marche, Umbria, Lazio fino a Sora, Pontecorvo e Benevento; ma senza più Avignone); Regno di Napoli (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Lazio Meridionale, Basilicata, Calabria); Regno di Sicilia. La Corsica era andata persa, di fatto, nel 1768; Malta e le Ionie erano in mano britannica; l’Austria si era annessi gli antichi Principati vescovili di Bressanone e Trento; e Istria, Dalmazia con Ragusa; e di fatto il Regno Lombardo-Veneto, assieme all’incarico della Santa Alleanza a mantenere l’ordine in Italia. Avverranno, per essere brevi: 1816, annessione della Sicilia a Napoli con Regno Due Sicilie; 1829, Massa a Modena; 1847, Lucca alla Toscana.
Di fronte a tale frammentazione e palese debolezza, si fecero strada idee federaliste, mosse da due evidenze diverse: le identità culturali radicate nella storia, e l’esigenza di un’unità politica, utile e necessaria, che però non fosse necessariamente unificazione. Sembrò ciò si attuasse per qualche mese del 1848, fallendo poi sui campi di battaglia e facendo esplodere anche in Italia le contrapposizioni di tutto l’Ottocento, quelle tra liberali e democratici: ed ecco che la liberale Repubblica Francese schiantò la mazziniana Repubblica Romana; mentre a Napoli i liberali si ribellavano alla costituzione liberale di Ferdinando II. In tutto questo, i reazionari non assunsero alcuna forma politica. Del resto, erano dei distinti inoffensivi signori come Monaldo Leopardi, o più realisti del re: anche di ciò, un’altra volta.
Cavour, al potere in Piemonte dal 1852, cercò potenti alleati, e trovò, con una generica simpatia inglese, il progetto di Luigi Bonaparte, da quell’anno stesso imperatore (di fatto assoluto) Napoleone III, di scalzare l’Austria dall’Italia e prenderne in posto attraverso una confederazione italiana. Cavour partecipò alla Guerra di Crimea – una Crimea c’è sempre, nella storia, almeno dai tempi di Medea! – e al Congresso di Parigi, dove il Regno Sardo venne promosso a Potenza media; e provocò l’Austria a una guerra che le forze francesi e sarde vinsero sul campo. Ne seguirono complicazioni e trattative, con annessione a Torino di Lombardia senza Mantova, e di Ferrara, Bologna, Romagna, Modena, Parma, Toscana; e cessione alla Francia di Savoia e Nizza.
Durante questo stravolgimento dell’Italia, anzi dell’Europa, nulla fece e disse il RdS, né regnante Ferdinando II, né, morto questo il 22 maggio 1859, il figlio Francesco II. Aveva tentato qualche manovra diplomatica Carlo Filangieri, senza effettuale sostegno del re; e dimettendosi da capo del governo. Si verrà a sapere di congiure di liberali, dell’ambasciatore sardo, della regina vedova, degli zii del re… di tutti tranne che dei sudditi fedeli, che c’erano, e molti, tuttavia desolatamente disorganizzati (come nel 2024 i 666 gruppuscoli meridionalisti della domenica); e metteranno mano alle armi quando sarà ormai tardissimo, e ognuno per conto suo.
Nel 1860, della partenza di Garibaldi erano informati tutti i giornali d’Europa. Non venne assunto alcun provvedimento di quelli più ovvi, né quando le due navi erano in mare, né quando i generali borbonici, del resto vecchi catorci come i loro fucili, si rivelarono così palesemente incapaci. Un solo episodio è degno di essere narrato, la battaglia del Volturno.
Garibaldi in realtà puntava su Roma, per vendicare il 1849 contro Pio IX. Di fronte alla certezza di un intervento francese, si agitavano Austria e Prussia, con evidente rischio di un conflitto europeo. Soluzione, un intervento sardo, e il congedo di Garibaldi di notte verso Caprera. La faccenda era, ancora una volta, liberali contro democratici (attenti, entrambe la parole, da intendere in senso ottocentesco), mentre i reazionari dormivano. Dormirono, del resto, anche i liberali meridionali, che non tentarono nemmeno di contrattare l’annessione (lo avevano fatto, con successo, i liberali toscani), ma solo di procurarsi personalmente un posto. Nelle elezioni del febbraio 1861, era di meridionali la maggioranza numerica dei deputati; però muti quando non dialettofoni. Per avere un capo di governo meridionale bisognerà attendere Crispi nel 1887.
In mezzo a questa grande politica, che fece ogni singolo italiano? Cosa indusse qualcuno a combattere per il risorgimento e qualcun altro a combattere contro? E qualcun altro, come il Gattopardo o i Viceré, a mantenere una scettica neutralità? Finora c’è stata poca letteratura seria per i primi e i secondi casi, e forse troppa per i terzi casi. Non è vero che tutti gli Italiani se la cavarono con la disperata ironia e autoironia del principe Fabrizio. Non è vero che tutti gli Italiani siano stati devoti sudditi di Vittorio Emanuele II come attestarono i plebisciti: un esempio, a Nizza su 43.000 elettori votarono per la Francia 43.000, bum! Tanto meno è vero, come spacciano certi giornalisti, che gli insorgenti detti “briganti” fossero socialisti e repubblicani e in cerca di un posto di bidello: erano palesemente monarchici e borboniani, e, loro!, reazionari.
“Giurate Viva il re, Viva la costituzione”, e i soldati in coro “Viva il re”. Del resto, nelle suddette urne doveva votare il 2% della popolazione, però votò l’1 per l’astensione dei cattolici. A proposito di cattolici, ne doveva passare acqua del Tevere dal 1848 al 1929; e quello del 1870 fu un vero attacco contro Roma veramente difesa. Non sarebbe ora di raccontare la storia dell’unificazione? Sì come macrostoria, ma anche, e soprattutto, come vicende di umanità. A quando un Via col vento del 1861, che racconti, semplicemente, la verità?