Toti, perfino Di Pietro dice: “I giudici di Genova sbagliano”. Calenda: “Contro di lui un ricatto”

27 Lug 2024 10:39 - di Natalia Delfino
toti di pietro

Non solo il centrodestra. Anche dall’opposizione c’è chi lancia l’allarme sul “ricatto”, nonché pericoloso precedente, costituito dalle pressioni giudiziarie su Giovanni Toti affinché arrivasse alle dimissioni. Ad affrontare il tema in alcune interviste oggi sono tra gli altri Antonio Tajani, Carlo Calenda e Antonio di Pietro, il quale da ex magistrato spiega: “La motivazione per cui non può essere ridata la libertà a Toti perché potrebbe commettere reati dello stesso tipo è insostenibile”.

Tajani: “L’aut aut a Toti un tentativo di condizionare il voto dei liguri”

Tajani: ”Mettere Toti nella condizione di scegliere tra le dimissioni e l’uscita dagli arresti domiciliari rappresenta in tentativo di condizionare il voto dei liguri”, ha detto il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, a La Stampa. Quella di Toti, ha aggiunto, è ”una scelta personale, ma ciò che mi preme dire è che questa vicenda rischia di condizionare il voto dei liguri. Per come si è messa la questione, costringendo alle dimissioni Toti, mettendolo dinanzi alla scelta tra dimettersi e restare ai domiciliari. E Se Toti al processo sarà assolto? Cosa accadrebbe? Dinanzi all’idea che un arrestato è automaticamente colpevole noi ribadiamo il nostro essere garantisti”, ha rivendicato Tajani, dicendosi d’accordo con il ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha parlato di vicenda anomala.

Di Pietro: “Dai giudici di Genova errore grossolano”

Antonio Di Pietro, intervistato dal Tempo, ha voluto escludere la “malafede” e “l’ideologia” da parte dei giudici di Genova, che secondo l’ex pm di Mani Pulite “hanno commesso semplicemente un grossolano errore”. Per Di Pietro il no alla liberazione di Toti è stato motivato in modo “insostenibile”,  poiché evidente che non c’è alcuna possibilità di reiterazione dei reati contestati. “Capisco lo stato d’animo di Toti, come dei partiti che lo sostengono”, ha proseguito Di Pietro, raccontando di quando nel 1996, “proprio in Liguria”, a causa di una intercettazione poi risultata trascritta male fu raggiunto da un avviso di garanzia, finì nel tritacarne mediatico e si ritrovò costretto alle dimissioni da ministro.

La domanda da porsi: “Fino a che punto ciò che avviene prima della condanna è rilevante?”

“Parliamo di un calvario che ho vissuto sulla mia pelle”, ha chiarito Di Pietro, invitando a porsi la domanda “fino a che punto tutto ciò che avviene prima della condanna deve essere considerato rilevante?”. Quanto all’ipotesi di finanziamento illecito contestata a Toti, Di Pietro ha avvertito che “non c’è niente di più ipocrita, ingenuo, scollegato dalla realtà che pensare che il sistema delle imprese finanzia il politico per un ideale” e che “siamo di fronte a un’ipocrisia legislativa di fondo”.

“È impossibile – ha avvertito – che chi svolga una funzione pubblica, prima o poi, non incorra in un atto che fa l’interesse di una specifica persona o di un’impresa”. “Attenderei l’esito finale del processo per capire se sia stato commesso un reato. Non conosco le carte e non mi affido alle sintesi interessate”, ha proseguito l’ex pm, sottolineando che la scelta delle dimissioni “nobilita Toti: col suo gesto ha evitato un danno superiore a quello per cui sta patendo”.

Calenda: “Toti sottoposto a un chiarissimo ricatto: se non ti dimetti, non esci”

Di “brutta pagina per la democrazia” ha parlato da subito Carlo Calenda, che ha ribadito il suo giudizio anche in un colloquio con Il Giornale. “Toti è un mio avversario, politicamente. Ma non si può non vedere quel che è successo. È stato sottoposto a un chiarissimo ricatto: se non ti dimetti, non esci”, ha spiegato Calenda, chiarendo che “mi sembra una forzatura del tutto inaccettabile, indegna di uno Stato di diritto: per la Costituzione, Toti come tutti i cittadini, eletti o meno, è solo un indagato, innocente fino a condanna definitiva. Dovrà andare a processo, quando ci sarà, ma è anche stato eletto dai cittadini per governare la Liguria, e tenerlo agli arresti glielo ha impedito. Si è dovuto dimettere perché non aveva altra scelta, a questo punto”.

“Purtroppo – ha proseguito Calenda – ho visto la vita di tanti governatori rovinata dalla stessa trafila: accuse, arresti, dimissioni. Poi magari vengono assolti in primo e secondo grado, come è successo in Basilicata a Pittella, e nessuno paga per il danno subito dalle istituzioni e dai cittadini. Mai”.

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