Cesare Pavese, il grande scrittore italiano che non seppe resistere al “mestiere di vivere”

27 Ago 2024 16:23 - di Sandra Fabiani
Cesare Pavese

74 anni fa Cesare Pavese, uno dei giganti della letteratura italiana del Novecento, mise fine tragicamente alla sua vita. Non era depresso, non lo era mai stato. Fu un suicidio esistenziale, come fu poi definito successivamente, a spegnere a soli 42 anni uno dei geni della poesia e della lirica italiana. Probabilmente la delusione d’amore per la fine della relazione con Constance Dowling.

Cesare Pavese: le opere più importanti

“Sei la vita e la morte. Sei venuta di marzo sulla terra nuda – il tuo brivido dura. Sangue di primavera- anemone o nube – il tuo passo leggero ha violato la terra. Ricomincia il dolore”. E’ uno dei passi di, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.

La raccolta, pubblicata postuma, comprende dieci poesie (otto in italiano e due in inglese), tutte scritte tra l’11 marzo e il 10 aprile del 1950 a Torino e tutte inedite, ritrovate fortuitamente tra le carte del poeta dopo la sua morte, in duplice copia, in ordine di pubblicazione, che Einaudi riuscì a far editare.

Ma tra i suoi capolavori spiccano, “La luna e i falò”, “Feria d’agosto”, “Dialoghi con Leucò”.

Il poeta del mestiere di vivere, che troverà un’assimilazione(purtroppo anche nell’epilogo) musicale, un decennio dopo con Luigi Tenco, esprimerà attraverso i suoi scritti il senso del disagio esistenziale.

Antifascista(vero) pagò duramente per le sue idee di libertà.

L’amore per Constance e il biglietto di addio: “Non fate pettegolezzi”

In preda a un profondo disagio esistenziale, tormentato dalla recente delusione amorosa con Constance Dowling, alla quale dedicò i versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, mise fine alla sua vita il 27 agosto del 1950, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di barbiturici che utilizzava come sonnifero.

Sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.

All’interno del libro era inserito un foglietto con tre frasi vergate da lui: una citazione dal libro, “L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia», una dal proprio diario, “Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti”, e “Ho cercato me stesso”. Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo.

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