Harley Davidson, retromarcia su cultura woke e Lgbt: con l’inchino al politically correct i clienti gli hanno voltato le spalle
Piove sul bagnato in casa Harley Davidson: la celebre casa motociclistica statunitense, entrata nell’immaginario collettivo grazie a film come Easy Rider e Il selvaggio, travolta dalle polemiche per aver sposato l’agenda DEI (diversità, uguaglianza, inclusione). Galeotto fu il video di Robby Starbuck – regista di clip musicale e documentarista salito agli onori del web con l’investitura da influencer politico conservatore – che in un contenuto multimediale di appena 9 minuti postato su X ha attaccato il celeberrimo marchio di Milwaukee perché «la casa di appassionati cultori del mito che viaggia sulle due ruote «non è allineata con i suoi clienti». Di Più: ha puntato il dito contro l’azienda con sede nel Wisconsin per aver sposato i diktat woke, ospitando un boot camp Lgbt, sponsorizzando eventi Pride e sottoponendo i dipendenti bianchi all’”indottrinamento Dei“.
Harley Davidson nella bufera: dopo l’inchino all’inclusività woke è scattato il boicottaggio dei clienti
La Verità tra gli altri, allora, riprende e commenta la vicenda, divenuta nelle ultime ore un vero e proprio caso mediatico rilanciato anche in Italia, e riferisce: «L’uomo ha citato l’adesione alla Camera di Commercio Lgbtq+ del Wisconsin, l’organizzazione di un campo di formazione Lgbtq+ presso i suoi uffici e l’impegno per aumentare la diversità della sua rete globale di concessionari». Non solo. Nel suo video di denuncia, Starbuck ha direttamente suggerito alla iconica azienda fondata nei primi anni del Novecento da William Silvester Harley e Arthur Davidson: «Lasciate che vi dica cosa vogliono i vostri clienti, perché è piuttosto facile: sbarazzatevi delle questioni sociali e delle cause divisive… niente più dipartimenti Diversity & Inclusion, niente più corsi di formazione woke, niente più donazioni a cause woke. Fate solo motociclette. Punto».
La denuncia dell’influencer politico conservatore e la risposta dell’azienda
Improcrastinabile la reazione dopo l’attacco al cuore di marketing e riconoscibilità sferrato dall’influencer conservatore, con la casa motociclistica che, correndo ai ripari, annuncia: «Basta con i protocolli per l’inclusività, d’ora in poi faremo solamente il nostro lavoro». E stop alle iniziative pro-diversità e alle operazioni di marketing votate alla causa dell’inclusività che, per forza di cosa, puntando su una fascia di utenti, necessariamente finiscono per escluderne un’altra. E se poi la fetta di seguaci acquirenti e cultori della leggendaria moto dal manubrio avvolgente fosse proprio la parte tagliata fuori, che fare?
Campi gender e indottrinamento Dei: cultori e storici clienti furiosi
Ed è tentando di rispondere a sollecitazioni, denunce e osservazioni sul caso, che la Harley-Davidson – centrata nel mirino da Starbuck – prova a reagire e, in piena resipiscenza, in una risposta pubblica si dichiara «rattristata dalla negatività delle ultime settimane, che ha diviso la comunità» di riferimento. E a stretto giro aggiunge anche: «Non abbiamo più una funzione Dei da aprile del 2024, e non ce l’abbiamo oggi»: laddove la sigla Dei sta per “Diversity, equity and inclusion“, e fa riferimento a strutture organizzative che cercano di promuovere il trattamento equo e la piena partecipazione di tutte le persone, in particolare dei gruppi che denunciano di essere sottorappresentati o soggetti a discriminazione sulla base dell’identità sessuale o delle diverse abilità.
Harley Davidson: «Ci concentreremo sulla nostra fedele comunità di motociclisti»
Dunque, per quanto concerne i parametri aziendali relativi alle «minoranze» e alla loro «inclusione». Harley-Davidson non solo fa sapere che – come riporta La Verità – non gode più di «quote di inclusione nelle assunzioni» né ha «obiettivi di spesa per la diversità dei fornitori». Ma annuncia anche l’addio a «sponsorizzazioni a iniziative legate all’inclusione. Lo stop ai rapporti con la Human Rights Campaign. Una revisione globale dei partenariati con organizzazioni esterne. “Ci concentreremo esclusivamente nella crescita del motociclismo sportivo e consolidando la nostra fedele comunità di motociclisti», ha sentenziato chiudendo la vexata quaestio l’azienda.
Clienti delusi: lo sfogo sui social
Un brand leggendario sempreverde, finita nel mirino dei social con community e chat divenute nell’ultimo periodo l’amaro sfogatoio di clienti delusi e cultori di un mito piegato a logiche tipiche dell’’attivismo neo progressista che Starbuck, scrive sempre La Verità, ha combattuto usando le stesse armi dell’avversario: lo scandalo pubblico scatenato via social e la mobilitazione dei possibili clienti, pronti a mettere all’indice (e all’imbarazzo) l’azienda e i suoi profitti.