Landini fa polemica perfino col morto pur di difendere gli Elkann. E Marchionne si rivolta nella tomba…

17 Ago 2024 17:06 - di Leo Malaspina

Incredibile Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, sindacalista senza macchia e senza pudore, visto che per l’ennesima volta, dalle amichevoli pagine di “Repubblica”, invece che attaccare i capi dell’ex Fiat, Stellantis, gli Elkann, che guarda caso sono anche gli azionisti di maggioranza del giornale che lo ospita, fa la polemica col “morto”, Sergio Marchionne. Oltre che con la Meloni e con il ministro Urso, ovviamente.

I silenzi di Landini sugli Elkann e le accuse indirette a Marchionne

“Non c’è più tempo da perdere: la premier Giorgia Meloni convochi appena possibile a Palazzo Chigi imprese e sindacati”, ha detto a Ferragosto Landini, senza mai attaccare i datori di lavoro della più grande impresa italiana che annuncia tagli, trasferimenti e mobilità. Nonostante la risoluzione della crisi di Termini e la riconversione dello stabilimento, dopo tredici anni, Landini non ringrazia il governo ma lo attacca e attacca anche chi, nella Fiat, a suo avviso aveva visto male sull’elettrico, ovvero il morto, Sergio Marchionne, che però più che rivoltarsi nella tomba non può fare: “Quella vicenda dimostra che senza la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori la fabbrica non esisterebbe più. Quando la Fiat annunciò la chiusura dello stabilimento diceva che investire nell’elettrico era sbagliato, per poi scegliere la fascia premium. Scelte entrambe sbagliate. Risultato: ora la proprietà è anche francese e utilizza meno della metà della sua capacità produttiva in Italia”.

Come fa notare oggi Paolo Del Debbio sulla Verità, “Landini dovrebbe far mettere una mezzo busto, almeno di gesso, raffigurante proprio Sergio Marchionne, per aver salvato dal disastro proprio quel casino che ormai era la Fiat e che se fosse stato per gli Agnelli-Elkann oggi sarebbe rimasto solo un cumulo di macerie e avrebbe causato un numero indefinito di disoccupati. Ebbene tutto questo si chiama Marchionne, né sindacato, né la famiglia”.

Ma la colpa è anche del governo, non degli Elkann…

Landini, senza mai citare i “francesi” che investono all’estero con gli incentivi presi in Italia, parla da ultimo arrivato, come se passasse di qui per caso. “Non abbiamo bisogno di stabilimenti cacciavite. La delocalizzazione fondata su bassa qualità e bassi salari l’abbiamo già pagata. Le ricette di questi decenni, tutte centrate sul lasciare fare al mercato, hanno portato alla proliferazione dei contratti, all’aumento della precarietà e a retribuzioni troppo basse. Ecco perché serve anche un ruolo pubblico per canalizzare gli investimenti. Anche dentro Ilva. E per evitare l’errore fatto con Tim, separando la rete dalla società dei servizi. Senza una politica industriale per il Paese, le nostre filiere si fermano e i giovani, anche laureati, scappano perché pagati poco. Non siamo più disponibili ad assistere allo svuotamento e alla svalutazione dell’industria, ma anche dei servizi sottopagati. È venuto il momento di un cambiamento radicale”.

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