L’editoriale. Cara Schlein, a quando una Paola Egonu segretaria del Pd? Suvvia, dia l’esempio
L’impresa “d’oro” delle meravigliose pallavoliste azzurre, secondo la lente distorta della sinistra di casa nostra, è l’unico episodio sportivo degno di finire negli annali di queste Olimpiadi parigine. Il perché è presto detto: testimonierebbe, grazie al talento di Paola Egonu e Myriam Sylla (emozionatissime mentre cantavano l’inno di Mameli), il trionfo dell’Italia multietnica e no border. Il Sol dell’avvenire meticcio contro le tesi di Roberto Vannacci, della destra “sangue e suolo” e così via. Il resto delle nostre medaglie olimpiche? È chiaro: la stragrande maggioranza delle vittorie degli atleti con il tricolore sul petto rappresenta, seguendo il ragionamento in voga fra politici ed opinionisti della rive gauche, il passato. Logica semplicemente lunare, siamo tutti d’accordo, ma tale è il livello della propaganda progressista. Questo passa il “convento” di largo del Nazareno e succursali.
A questo punto, però, scegliamo di prendere sul serio l’invocazione giunta da Pd, rosso-verdi, 5 Stelle e dalle redazioni di riferimento. E chiediamo: tutto giusto ma quando darete per primi il “la”? Quando avremo, ad esempio, un Pd a guida «multietnica»? In modo da rappresentare in modo plastico – secondo quanto twittato dai piddini dopo l’ultima schiacciata delle azzurre – l’avanguardia de «l’Italia che vogliamo»? Già, perché al momento fra i dem regna il passato remoto. La leader del Pd, Elly Schlein, è bianca che più bianca non si può. Espressione, poi, dell’upper class di stanza in Svizzera più che nelle periferie del mondo. Pure fra i suoi quadri il discorso non cambia: Furfaro, Franceschini, Boccia, Orlando. Bianchi, al massimo dorati di abbronzatura. Niente da fare pure fra le donne: Serracchiani, Malpezzi, Sbraga. Anche qui – vicine o lontane alla newco della segretaria – bianchissime. Insomma, questo Pd, seguendo i canoni woke tanto in voga nelle declamazioni dei suoi protagonisti, tutto sembra fuorché un laboratorio di “nuova italianità”.
Di Italia multietnica non v’è praticamente traccia nemmeno a sinistra della sinistra: quella, a parole, più immigrazionista. I leader di Avs – Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli – sono tutti e due bianchi, etero, etc etc. E così i loro quadri dirigenti. L’unico che avevano, l’ex bracciante Soumahoro, sappiamo bene dove è finito (nel dimenticatoio) e perché: non esattamente il più amato dai migranti stessi dopo che che questi hanno conosciuto il sistema di “accoglienza” della famiglia della moglie. Stessa solfa pure nel MoVimento 5 Stelle: Giuseppe Conte è un colletto bianco nel senso metaforico ma è pure bianco-bianco in tinta con la sua pochette. Quanto ai suoi grillini nemmeno con la logica dell’uno vale uno (lo slogan dei tempi che furono) se ne trova in realtà qualcuno.
Che aria tira, poi, nelle redazioni dei quotidiani e dei talk col cuore a sinistra? Anche qui è il trionfo dei visi pallidi, al netto del biancume da scrivania. Eppure è proprio fra le colonne e le inquadrature dei media progressisti che vengono fornite giorno dopo giorno statistiche in quantità industriale sul contributo degli immigrati e sulla necessità di rappresentare in ogni luogo l’Italia multiculturale «che già c’è». Ma di vederla quest’Italia nella tolda di comando di giornali e trasmissioni niente da fare: lì spradroneggia ancora l’Italia passatista. Più vicina agli “stereotipi” ottocenteschi da libro Cuore che ai taccuini senza confini di Carola Rackete.
Morale del corsivo: quando avremo una Paola Egonu a guidare il Pd e i media che propagandano a ciclo continuo «Italia di domani»? Tutti a predicarla a quelle latitudini, nessuno a schiodarsi per lasciare spazio e ruolo ai talenti italiani di seconda e terza generazione. Sarà un caso che ciò avviene nello sport? Dove a trionfare, guarda caso, è il merito? Per il resto l’Italia si dimostra bloccata: anche e sopratuttto, guarda un po’, a sinistra. Dove continuano a vigere, al netto del moralismo e della narrazione sulle sorti magnifiche e progressive dell’immigrazione, il numero chiuso e i meccanismi di cooptazione cari ai vecchi ceti dominanti. Cara Schlein dia l’esempio allora: faccia spazio, lei per prima, all’Italia «di domani». Come dite voi: se non ora, quando? Va bene pure dopodomani o dopo le ferie. Facciamo entro Natale? Su, pure all’inizio dell’anno nuovo…