L’editoriale. Sacrificare la realtà e il corpo della donna sull’altare woke? C’è chi dice no
La lezione di vita di Angela Carini conferma la profezia di G.K. Chesterton: «Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate». Guantoni e ganci si sono incrociati, ieri, per “dimostrare” la realtà: ossia che non è possibile far competere su un ring di pugilato una donna con un’atleta intersessuale o transgender che sia. A meno di non sacrificare la realtà, dunque il corpo della donna, sull’altare della crociata woke. Esattamente ciò che ha affermato, con disarmante ma preziosa sincerità, l’associazione di medici Lgbt, AmGay: «È innegabile» il vantaggio corporeo di Imane Khelif hanno spiegato. Con un “ma” enorme: «Ma l’inclusione è molto più importante di una differenza fisica lieve». Capito?
Ragionamento agghiacciante e post-umano. E così ciò che è andato in scena fra le due sfidanti è il concentrato di questa edizione delle Olimpiadi: subordinare il reale alla decostruzione e all’artificiale. Lo spirito olimpico al peggior spirito del tempo, green e queer allo stesso tempo: fra letti di cartone, Ultima cena gay friendly e relativizzazione del genere (sempre e solo a discapito delle donne). Il tempo sacro del grande avvenimento offerto dagli antichi greci al divino in un dissacrante sabba ad uso e consumo di oscuri ingegneri sociali.
Nel caso specifico non è certo colpa di Imane Khelif e della sua particolare condizione genetica che la rende forte come un uomo: situazione su cui nessuno può permettersi di puntare il dito. Ma del Cio e della sua ossessione “dirittista” sì, eccome. E del padrone di casa, Emmanuel Macron, che ha trasformato i giochi olimpici in Francia in una narcisistica proiezione di un dirigismo etico: anarcoide, manierista e approssimativo. Specchio riflesso della sua leadership in rovina.
Davanti a tutto questo una sinistra politica in evidente imbarazzo – nei confronti alla dignità e alla compostezza con cui Angela ha strappato il velo dell’ipocrisia (dov’è Elly Schlein? Qualcuno l’ha vista arrivare?) – ha lasciato il “campo largo” agli ultrà della causa gender e del transfemminismo. Con incredibili uscite misogine, paternalistiche e offensive nei confronti della nostra atleta: trattata, di fatto, come una debole condizionata dalle polemiche. La verità è che non le perdonano quel “no” da donna libera: il fatto di non aver recitato il copione di vittima sacrificale. Di non essersi trasformata nella comparsa da gonfiare – letteralmente – per il trionfo della loro furia ideologica.