L’intervento. Il gesto delle due “X”: non una crociata ma la necessità di difendere l’umano. A partire dalla donna
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
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Gentile direttore,
quanto poco sono state raccontate le braccia o le dita incrociate al cielo di molte atlete e atleti mostrate a favore di telecamera, o pubblicate sui social. Un movimento internazionale di donne ma anche uomini alleati per ricordare al mondo che le donne hanno i cromosomi XX, e gli uomini XY. La petizione di ProVita e Famiglia per chiedere che gli uomini non invadano gli sport femminili con la loro pre-potenza fisica ha raggiunto in pochi giorni e di ferie 18.874 firme ad oggi. Qualcosa si muove: il romanzo imposto è così distopico che non è più possibile girarsi dall’altra parte.
Le Olimpiadi iniziate con una cerimonia offensiva e banalmente orrenda, si concludono con il presidente del comitato olimpico, Thomas Bach, che ammette di non saper distinguere un uomo da una donna: «Se qualcuno ci presenta un metodo scientifico solido per identificare uomini e donne saremo i primi ad applicarlo». Un manifesto gender, di quella ideologia gender – che solo in Italia dicono non esista – che dopo aver indicato gli uomini come nemici, violenti e causa di ogni male e quindi da allontanare, sta attaccando la donna perché custode della vita e delle relazioni. Il gender, una sciagura per le donne e per gli uomini, finanziata da miliardi di transumanisti che mentono per promuovere un’agenda pericolosa: per lo sport certamente ma soprattutto per i giovani fragili che vengono rapiti e spinti a pensare di essere nati sbagliati, in un corpo sbagliato da rifiutare, modificare fino ad essere costretti a diventare malati a vita.
Siamo qui, direttore, a faticare per poter affermare che 2+2 fa 4, che le foglie sono verdi in estate e che le donne e gli uomini sono differenti e questa differenza feconda! Nel 2024 c’è chi è talmente impiastrato di ideologia che fatica a rispondere ad un semplice quesito: che cosa è una donna? «Alcuni vogliono appropriarsi della definizione di chi è una donna, e quindi non posso che invitarli a elaborare una nuova definizione scientifica di cosa è chi è una donna»: a parlare è sempre il presidente del Cio…. E se ti azzardi a rispondere «un essere umano adulto di sesso femminile», sei annoverato tra i nemici dell’inclusione.
Come era probabile, Khelif ha vinto l’oro sbaragliando ogni avversaria, con il suo corpo maschile, così come Lin Yu Ting, entrambi esclusi dall’IBA perché con cariotipo XY, perché un corpo che ha fatto una pubertà maschile ha una ossatura, una muscolatura, una resistenza cardiovascolare, una velocità e una potenza che una donna a parità di condizioni non può avere. E se si possono abbassare i livelli di testosterone, abbassandoli non si modifica la struttura del corpo potente, imponente. Ed è una banalità riconosciuta da sempre: da sempre uomini gareggiano con gli uomini e le donne con le donne, perché diversi in ogni cellula.
La questione non è la storia di Khelif: ci troviamo di fronte ad una fine strategia. Montare un caso pietoso per poi pretendere altro. Un po’ come quando per l’aborto si chiama in causa un caso estremo «una bambina di 11 anni stuprata dal padre» per rendere l’aborto un diritto per tutti. Quando il Cio ha annunciato che avrebbero partecipato questi atleti, i falchi del gender, come li ha definiti Susanna Tamaro, hanno accolto la notizia con gioia: «Se un’atleta si dichiara donna allora è donna», per poi correggere il tiro in corsa. Laura Boldrini in un post dice che Gaynet ha ricostruito che quest’atleta è stata socializzata alla nascita come donna, un giorno dopo le atlete sono DONNE (non più socializzate donne). Ma la storia di Khelif è tutto maquillage, perché quando ho domandato a Boldrini in una trasmissione se allora pensava che i trans sarebbero dovuti essere esclusi dalla categoria donne ha risposto «dipende».
Gentile direttore, a noi di Provita & famiglia, come a chiunque si stia finalmente ribellando a questa ideologia woke, o gender che si voglia dire, non interessa la storia personale di nessun atleta, non siamo chiamati a giudicare le persone – certo alcune ricostruzioni giornalistiche sono state imbarazzanti pur di negare l’ingiustizia palese perpetrata –, ma la questione centrale, il “dipende”: per il Cio è donna qualsiasi atleta abbia sul passaporto la dicitura donna, e infatti alle Paraolimpiadi gareggerà Valentina Petrillo, trans. Per i falchi chiunque si percepisca e si dichiari donna è donna.
Ma se tutto è donna, niente è donna. E allora un aggressore può percepirsi donna per invadere spazi femminili, un atleta per vincere. Forse può essere pure verosimile che Khelif alla sua nascita sia stato per errore “socializzato” come femmina, ma seppur triste questa storia non può infrangere un principio che è uno spartiacque: il dato biologico prevale su quello ideologico, e anche anagrafico. La realtà biologica prevale sull’identità ideologica che sia percepita (cfr Valentina Petrillo) , che sia stata attribuita per errore (il caso Khelif?). L’ideologia che si riempie la bocca di diritti delle donne pronta a sacrificarle sull’altare dell’inclusività woke transumanista.
Nessuna crociata, quindi, ma la necessità di difendere l’umano. Le petizioni partecipate, le braccia e le dita incrociate, così come ogni manifestazione di dissenso, raccontano una speranza: la semplicità di fronte ad un impero potente e menzognero di poter gridare: IL RE è NUDO.
* Portavoce di Provita & famiglia