Miti. Conrad, a 100 anni dalla morte il suo “Cuore di tenebra” interroga ancora l’Occidente
Che bizzarra cosa la vita – questo misterioso congegnarsi di implacabile logica in vista di uno scopo tanto futile. Il più che se ne possa sperare è una certa qual conoscenza di sé stessi – che giunge troppo tardi – e una messe di inestinguibili rimpianti.
Il mare, teatro dell’esperienza formatrice di Joseph Conrad (Berdyčev, 3 dicembre 1857 – Bishopsbourne, 3 agosto 1924) e dei suoi romanzi maggiori, ha in lui un’anima duplice: nelle sue storie compare un’umanità multiforme, conosciuta in navigazione o in posti esotici e lontani, ritratta con la scabra tavolozza del realismo, ma il mare è anche luogo metafisico, spazio appartato, di pienezza e solitudine, dove i conflitti spirituali raggiungono facilmente posizioni estreme e in cui gli uomini vengono a trovarsi drammaticamente alle prese con l’assoluto.
La grandezza e l’originalità di Conrad consiste nel saper dare ai fantasmi dello spirito le plastiche fattezze della realtà e nel saper sollevare l’attenta scrittura verista alle rarefatte profondità della metafisica. Egli sa svelare, dell’agire umano, le essenze occulte, mettendo a nudo il nocciolo crudele dell’istinto nel travaglio friabile dell’anima. Ma in questa sua inclinazione si avverte una compromissione materiata di scetticismo e connotata da un senso di malinconica estraneità. Egli è infatti, per scelta, uno scrittore di lingua inglese, ma in realtà è un autore cosmopolita, un senza patria, uno sradicato che trova, proprio nel senso di sradicamento della sua esistenza di uomo e di narratore, la via per trovarsi a confronto col proprio doppio o con l’altro da sé.
La sua narrazione si inoltra nella parte segreta e oscura dell’animo umano, scandagliando il gorgo dell’irrazionalità della vita e svelando le cause delle azioni disattese, delle vocazioni eluse o rinnegate, dei vuoti dell’anima che sviliscono ogni passione. Il suo sguardo è contraddistinto da una ironia ambivalente, rivolta più a se stesso che agli altri giacché la sua esistenza sconta il rimorso dell’abbandono della Polonia, la sua patria d’origine, e il tradimento degli ideali patriottici del padre che per quegli ideali andò incontro a una morte precoce, per farsi pellegrino del mare e del mondo, osservatore delle segrete pulsioni che inducono l’uomo a tradire quel codice d’onore che resta saldo solo nelle nostre intenzioni e che così spesso abbandoniamo, poiché la disgregazione del valore dei codici, da lui intuita precocemente grazie alla sua condizione di “straniero” ovunque si trovasse, vanifica ogni idea di storia intesa come ottimistico progresso, ossia di quel cammino di avanzamento nella luce della civiltà in cui l’Europa, al suo tempo, si illudeva di marciare trionfalmente, e che invece conduceva a un ripiegamento nella tenebra annidata nell’ambiguità del nostro essere più profondo.
Più di ogni altro Conrad ha avvertito che il nostro era un viaggio nel “cuore di tenebra” che nasce dall’incontro col nostro doppio, con quell’altro da noi che viene a contatto con la nostra coscienza e la inquina con la sua diversità. Egli, dunque, utilizza il romanzo avventuroso di viaggio nell’altrove, traendolo fuori dall’ottimismo eurocentrico e positivista entro il cui orizzonte era nato, per consegnarlo allo spirito sdrucciolevole e dolente della modernità dell’Occidente, che proprio nel confronto con l’altro ha finito per perdere se stesso, assieme alle sue certezze e all’orgoglio delle sue conquiste di civiltà.
Testo e disegno di Dionisio di Francescantonio dal catalogo della mostra “Profeti inascoltati del ‘900. Sessantasei personalità fuori dagli schemi” (a cura di Andrea Lombardi e Miriam Pastorino), illustrate dai disegni di Dionisio di Francescantonio e da approfondimenti di intellettuali, scrittori e critici d’arte”, Genova 2022.