Nazione & finanza. Il baratro generazionale è un fatto: il cambio di paradigma è un problema “dei giovani”

13 Ago 2024 8:49 - di Villy De Luca

Ogni tanto è giusto partire dalle belle notizie: siamo medaglia d’argento al mondo per longevità! Per gli uomini la vita media attesa è di 81,1 anni, per le donne 85,2 anni. Ci batte solo il Giappone. Questo risultato, per una Nazione che storicamente era povera e con una corta aspettativa di vita, è un successo multigenerazionale che nessuno al mondo è riuscito ad uguagliare. I successi come questo, però, vanno difesi. Non si tratta di una coppa da lasciare a prendere polvere su uno scaffale. È piuttosto una pianta, da nutrire e curare. Il come deciderà se potremo vantarci di questo risultato o se saremo costretti a rimpiangerlo.

Prima di tutto una premessa: il sistema previdenziale che noi diamo per scontato ha poco meno di due secoli e mezzo di vita. E si basa su due conteggi: quanto ci si aspetta di vivere e quanta gente lavorerà quando noi saremo andati in pensione. È quindi un patto generazionale: io pago la pensione a mio padre, perché mi aspetto che mio figlio la paghi a me. Questo patto è saltato da almeno mezzo secolo, ma non ne abbiamo ancora preso del tutto consapevolezza. Il baratro della denatalità significa che chi lavora oggi paga sempre di più per coprire le pensioni di chi non lavora. Dati 2022 alla mano si parla del 40% circa della spesa pubblica in pensioni (le entrate nel 2022 sono state 544 miliardi di euro. La spesa previdenziale è stata di 231 miliardi).

Ma nel 2050, parola del presidente dell’Istat Chelli, saremo 54 milioni e soprattutto ci sarà solo un lavoratore attivo per ogni pensionato. È di tutta evidenza che il modello di pensione immaginato finora (qualche decennio, tre o quattro al massimo, di lavoro e poi riposo) non è più sostenibile. Dirò di più: non lo è proprio il sistema istruzione-lavoro-pensione. Certo, molto potrebbe essere fatto avvicinandoci nuovamente verso il tasso di sostituzione (2,0 figli per famiglia). Il Governo molto ha fatto in questa direzione, ma molto di più servirà. Anche perché le esternalità positive in termini di età media per affrontare i processi e le sfide future sarebbe fondamentale.

In ogni caso ci dovremo concentrare anche su un cambio radicale di paradigma. Oggi si pensa che in gioventù ci si debba formare, nell’età adulta lavorare e in vecchiaia riposare. È una impostazione novecentesca da superare. Prima di tutto, la formazione non è un processo che ammetta soste. Come la spada della giustizia, nemmeno il calamo deve conoscere fodero. Tema ulteriore e non secondario: i contributi. Altrove, dove il sistema previdenziale non è a riparto, e dove i propri contributi vengono effettivamente restituiti sotto forma di pensione, si dovrà necessariamente pensare ad alzarli. Da noi, invece, non sarà evitabile il ricorso alla previdenza privata e integrativa. Già ora i Governi hanno spinto con la leva fiscale sul tema, ma resta una scelta individuale. Una scelta che dovrà essere sempre più valorizzata, visto che dovremo necessariamente passare da questo modello a uno diverso.

Un modello dove Millennial e Gen Z, dopo aver pagato i debiti dei padri, dovranno pagare la propria vecchiaia. Solitaria, in gran parte. Insomma, ci è chiesta un rivoluzione silenziosa di paradigma. L’alternativa è che questo record meraviglioso di longevità si trasformi in una distopia in cui la sola alternativa è la povertà.

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