Umanizzare il sistema carcerario attuando la Carta: il governo fa questo. L’opposizione? Rimproveri la sua inerzia

12 Ago 2024 8:00 - di Maurizio Miceli

Gli interventi legislativi in materia penale e suoi corollari, inevitabilmente, anche in ragione degli interessi in gioco (la libertà personale e la sua “compressione” causata dalla violazione delle norme penali dello Stato), accendono un dibattito pubblico: tra coloro che ritengono sempre e comunque le misure insufficienti – che tendenzialmente siedono tra i banchi dell’opposizione – e, al contrario, i protagonisti dell’azione di governo che difendono l’efficacia delle proprie azioni.

Il paradosso, tutto italiano, è che gli oppositori, parlamentari ed extra, criticano gli interventi normativi su temi platealmente trascurati quando hanno governato negli ultimi dieci anni, peraltro, cercando di sezionare gli interventi dell’esecutivo Meloni senza curarsi della visione di insieme che sta dando alla giustizia italiana, nel suo complesso. Il ddl Carceri, infatti, si innesta in una azione di governo che cerca di realizzare una riforma della giustizia rispettosa dei canoni costituzionali ed efficace sia dal punto di vista strutturale che giuridico, come ha detto lo stesso Ministro Nordio alla conferenza stampa di presentazione del provvedimento, ribadendo come occorra tanto enfatizzare la “presunzione di innocenza” quanto affermare la certezza della pena.

Questo l’approccio del governo cui si combina la questione nodale della giustizia italiana: un continuo ed estenuante “vorrei ma non posso” tra la necessità di presidiare i principi costituzionali, garantendo l’efficienza della macchina burocratica, e l’assenza di risorse, umane e strumentali, per farlo. Il Governo Meloni con il ddl carceri si confronta proprio con questi temi: la dotazione organica su tutte ne è la prova; l’assunzione di mille unità di polizia penitenziaria che si aggiungono alle mille già evase, facilitando la formazione iniziale per renderne celere l’immissione in servizio. Si è disposta l’assunzione di 22 nuovi vice commissari di polizia penitenziaria e 48 nuovi vice ispettori, anche mediante lo scorrimento delle graduatorie già esistenti, a riprova della volontà di qualificare ancora di più il comparto. Una misura che consente di ridurre un deficit cronico di organico, migliorando gli standard di sicurezza e controllo dei detenuti nonché la gestione delle case di reclusione e circondariali.

Ulteriore intervento che si inserisce in un progetto di riforma carceraria già avviato con l’assegnazione di un direttore per ciascuna struttura detentiva e che, adesso, prevede altresì la dotazione di un comandante e un vice direttore, quest’ultimo a seconda delle dimensioni dell’istituto. Le carenze strutturali sono state vagliate dal Governo con una capillare azione del sottosegretario Andrea Del Mastro, cui tra gli altri va riconosciuto il merito di visitare tutte le carceri italiane, da Favignana al nord Italia, per conoscerne e comprenderne le difficoltà.

Il ddl tende a umanizzare ancor più il sistema carcerario: incentivando i percorsi rieducativi dei detenuti, necessari per ottenere le liberazioni anticipate; implementando la possibilità di contattare telefonicamente i propri familiari; favorendo l’accesso alle misure penali di comunità e quindi l’ingresso nelle strutture residenziali per lo svolgimento di servizi di assistenza, di riqualificazione professionale e reinserimento socio-lavorativo dei soggetti residenti, ivi compresi quelli con problematiche derivanti da dipendenza o disagio psichico.

Il Governo sta attuando, in buona sostanza, i valori costituzionali, la funzione retributiva e rieducativa della pena: sanzionare chi ha rotto il patto sociale con lo Stato, violando le norme del codice penale e avviarlo ad un percorso di risocializzazione per impedire che possa nuovamente commettere illeciti. L’esecutivo ha deciso di affrontare i problemi del sistema carcerario italiano emanando tutta una serie di provvedimenti per assicurare la celebrazione del giusto processo e all’esito di questo, in caso di condanna, l’applicazione della pena inflitta, e tra le altre misure combattendo il sovraffollamento con la costruzione di nuove carceri e la modernizzazione di quelle esistenti, favorendo l’espiazione della pena dei detenuti stranieri nel loro paese di provenienza.

Sorprende come i fin qui inerti soloni della Costituzione arrivino a minacciare denunce e altre iniziative di “propaganda penale”, parlando in Parlamento di «diritto penale del nemico», invocando “svuotacarceri” o indulti, che proprio Nordio ha bocciato semplicemente sciorinando i numeri dei detenuti che pur avendo al tempo beneficiato dello sconto di pena, sono stati ristretti in quanto recidivi.

Chi intenta un processo al Governo, protestando per il numero di suicidi dei detenuti o degli agenti penitenziari, per i tafferugli talvolta sfociati in risse e aggressioni, tutti fenomeni causati dalle precarie condizioni delle carceri, dovrebbe rimproverare la propria inerzia senza rifugiarsi in amnistie o indulti per lavare la propria coscienza, speculando su un dramma che meritava non solo la pietas umana ma ben altre premure.

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