Breve cronaca del postfascismo in Italia: un racconto senza tabù per superare il torcicollo

8 Set 2024 8:30 - di Ulderico Nisticò
postfascismo

Le Germania, e le forze germaniche ancora fuori del confini, combatterono fino ai primi giorni di maggio 1945; subito, ma proprio subito, il giorno dopo, la Germania Federale (Ovest) apparve come da sempre e interamente popolata da liberali, democristiani e socialdemocratici; mentre quella Democratica (Est), totalmente comunista. Attenti, non fu una banale faccenda di voltamento di gabbana, bensì una consapevole, e condivisa, operazione ufficiale di cancellazione del passato, e del fatto stesso che in entrambi i suddetti luoghi, e anche in Austria, Sudeti, Prussia Orientale, Danzica eccetera, ci fossero mai stati dei nazionalsocialisti, a parte i pochissimi che vennero processati in nome di tutti gli altri. Era una palesissima bugia, però concordata, quindi garantita dalla convenzione e convinzione internazionale e da evidenti interessi sia degli Usa sia dell’Urss, sia dei medesimi tedeschi, che si sforzarono in ogni modo di coltivare l’amnesia.

Non accadde così in Italia, dove la memoria del periodo fascista, per quanto colpita da divieti e persino sanzioni penali, continuò quasi senza ostacoli, affidata sia all’iniziativa personale di ogni singolo interessato sia ad apposite organizzazioni. Che fecero, infatti, gli Italiani dal 1945? Gli antifascisti, che pure erano esistiti anche prima, aderirono ai partiti tornati in vita nel 1943; e questi si aprirono ad accogliere facilmente quelli che, nel Ventennio, erano stati solo governativi, e che altro non volevano se non restare governativi di qualsiasi governo; e si aprirono anche ai già fascisti che chiedevano ospitalità, e molto agevolmente l’ottennero. Si possono elencare nomi esplosivi. E qui lasciate che chi scrive sottintenda tutte le sue perplessità, che, senza la guerra o con suo diverso esito, ce li saremmo ritrovati ministri e sottosegretari e governatori del Galla Sidama o di Rodi o di qualche ulteriore conquista.

Aderirono dunque a partiti vari molti già fascisti, ammesso non avessero aderito anche ai fasci per convenienza. Qualcun altro, esercitando funzioni e potere, procurava voti a valanghe a Dc e Psi e pure Pci eccetera; però, nel chiuso dell’urna, il suo voticino (01) lo riservava al Movimento Sociale. A molti la nostalgia passò presto, per un meccanismo della memoria umana che tende a rimuovere.
Alcuni fascisti, soprattutto giovani intellettuali, passarono a sinistra; e per non morire democristiani; e per suggestioni squisitamente culturali e di avversione al liberalcapitalismo: c’era stato un fascismo con pulsioni di sinistra, e nemmeno è del tutto estinto. E quelli che francamente rimasero e a bocca piena si dichiararono fascisti? Beh, stando alla XII disposizione transitoria e finale, seguita dalla legge Scelba del 1952, dovevano tutti languire nelle patrie galere; se non che la suddetta XII vieta sì l’elezione di un fascista, però solo per cinque anni dal 1948; sicché parecchi furono eletti già nel 1953. Antifascismo a calendario e a cronometro!

Nell’immediato dopoguerra nacquero così vari gruppi postfascisti, che avevano intestazione e sedi e indirizzi e numeri di telefono; e che furono rappresentati in parlamento e consigli vari. E sostennero sindaci importanti e intervennero nell’eleggere presidenti; senza dimenticare la vicenda Tambroni. Fino agli anni 1970, l’antifascismo era relegato a qualche raro libro e a poco frequentate cerimonie ufficiali. Tornò allora, e torna tuttora, l’antifascismo, per due ragioni: una, il tentativo di escludere la destra da quello che un tempo si chiamò arco costituzionale, e rivendicare una specie di diritto al governo di partiti più o meno antifascisti, senza tanto preoccuparsi dei voti; l’altra, una cultura divulgata di centrosinistra, che, come abbiamo scritto in altre occasioni ha creato un gramscismo perdente alle elezioni, è vero, però diffusissimo in letteratura, canzonette, film, temi in classe e luoghi comuni vari.

Nel frattempo – dal 1943 a oggi – abbiamo visto nascere e morire, ed essere dimenticati, partiti a decine e decine. Fino al 1990, due di questi contavano voti a milioni: Dc, Pci; ed erano ramificati in ogni ganglio della nazione, in governo e ancor più sottogoverno. Notevoli erano anche il Psi, e il detto Msi; e dei partiti con scarsissimi voti erano tuttavia assai influenti, e presenti in tutti i governi: Pli, Pri, Psdi… Sorvoliamo su fatti episodici. Era l’effetto dell’assetto partitocratico delle istituzioni del 1948, e più esattamente della costituente di due anni prima. Assetto che, si pensava nel 1990, doveva svanire con la fine della Prima Repubblica; e non fu così.

Questa è la cronaca del postfascismo. Nel 2024, siamo a 102 dalla Marcia; quindi, alla quarta generazione: la prima, gli interventisti e combattenti e marciatori, già anziani nel 1950; la seconda, quelli cresciuti da balilla e combattenti del 1940-5, già anziani nel 1980; la terza, i figli di questi ultimi, già anziani nel 2024; la quarta, quei giovani che non hanno ricevuto una tradizione personale, e perciò non possono ricordare, esperienzialmente, non dico il Ventennio, ma nemmeno il Movimento Sociale, ufficialmente finito nel 1994. C’è una destra che costituisce, numeri alla mano, poco meno del 30% dell’elettorato. Sarebbe utile a tutti, anche agli antifa, che tutti, anche la destra, prendessero atto del divenire, evitando il tentativo, per altro fallito, di servirsi nel 2024 di fatti remoti. Il passato, lasciamolo a letteratura e cinema: finora, non ne abbiamo visti di degni di questo nome. Quando ci proveremo?

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