Caso Durov. Viva la libertà di opinione e il free speech: solo se fa comodo ai “ceti dominanti”?

1 Set 2024 8:00 - di Alberto Samonà

Viva la libertà di opinione, ma solo quella che fa comodo. Chi esprime idee sgradite, giù dalla torre senza troppi complimenti. È questa la regola aurea che pare contraddistinguere la nuova visione del decadente occidente post-democratico e post-liberale, con un ordine di scuderia che prevede che chi tesse le lodi del progressismo in salsa 5.0 sia ben accetto, mentre coloro che non lo fanno devono essere silenziati: siano essi singoli, associazioni, società per azioni o gruppi sociali.

In sostanza, fino a quando ti fai portavoce delle tendenze e delle idee dominanti, puoi stare tranquillo che il tuo diritto alla libertà di espressione verrà garantito e difeso in tutti i modi, ma i nodi vengono al pettine non appena si manifestano opinioni “non allineate” al pensiero unico. A quel punto, ecco che scatta l’allarme rosso e in un baleno, gli alfieri della libertà di pensiero in salsa dem euro-americana, con un cambio d’abito repentino, si trasformano nei peggiori aguzzini, nei censori spietati di chi non pensa come dovrebbe, molto simili a quelli tanto in voga in odiose dittature del passato e del presente: chi non accetta i dogmi progressisti spacciati come uniche verità possibili deve essere rieducato! E la rieducazione deve essere effettiva e non lasciare nulla al caso.

Free speech a targhe alterne…

Avviene così che il principio del cosiddetto free speech (ovvero la libertà di esprimere le proprie opinioni) diventa aleatorio, flebile, e chi non si allinea e propone altre verità rispetto a quelle preconfezionate, non di rado viene accusato di farne un uso improprio, con tanto di organi d’informazione pronti a bollare come “hate speech” (incitamento all’odio), come “complottiste” o come “fasciste” tutte quelle opinioni dissenzienti rispetto alle ideologie dominanti nel democratico occidente. 

L’arresto dei giorni scorsi in Francia del fondatore di Telegram Pavel Durov è solo la punta dell’iceberg di quel che sta avvenendo: le accuse gravissime formulate nei suoi confronti (pedopornografia, vendita di droga, associazione a delinquere, fino alla violenza privata e abuso su minori) suonano come un avvertimento per tutti coloro che vorrebbero esprimere idee liberamente, non certo deterrenti per maniaci, spacciatori e terroristi, che sono per loro stessa natura del tutto indifferenti alle leggi che infrangono. Come non ricordare, fatti i dovuti distinguo, quando nel 2010 il tribunale di Stoccolma spiccò un mandato di arresto verso il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, con accuse di stupro, molestie e coercizione illegale.

Anche Elon Musk trema

Avvertimenti e minacce di silenziare le piattaforme social non allineate, del resto, recentemente sono arrivate dalla Commissione Europea anche al patron di X Elon Musk, accusato di aver violato ripetutamente il cosiddetto “Digital service act”, ovvero  il regolamento europeo sui servizi digitali, composto da un insieme di norme che, sulla carta, sono volte a dare maggiori diritti agli utenti del Web, ma che fa del controllo dei contenuti uno dei suoi elementi distintivi. In particolare, giusto per fare un esempio, l’articolo 91 sottolinea come “in presenza di circostanze eccezionali che comportino una minaccia grave per la sicurezza pubblica o per la salute” vi possano essere “misure di emergenza”, in sostanza limitazioni alla libertà di espressione al fine di controllare la cosiddetta “disinformazione”. Il problema è che “qualcuno” evidentemente è chiamato a decidere cosa sia informazione e cosa disinformazione e quali opinioni siano da considerare minaccia grave, tali da mettere a repentaglio sicurezza e salute. E in questo, non sembra vi siano limiti per la Commissione Europea.

Lo stesso Musk, alcune settimane fa ha denunciato come vi siano stati tentativi di addolcire la pillola, rivelando che se avesse censurato una serie di profili non allineati, non lo avrebbero toccato e non sarebbero scattate sanzioni verso di lui. E siccome il magnate di X se ne è infischiato, ecco che è diventato un nemico, al contrario di altre piattaforme che, per essere lasciate in pace, avrebbero aderito al cortese invito.

L’ammissione di Zuckerberg

Ma che nel democratico occidente il controllo del pensiero e della libera espressione delle opinioni sia all’ordine del giorno lo dimostra anche la recente ammissione del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che alla Commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha rivelato di avere subito pressioni governative per gestire a senso unico le informazioni sull’emergenza Covid 19 e per silenziare la vicenda relativa allo scandalo del contenuto del computer di Hunter Biden, figlio del Presidente Usa, accettando sbrigativamente la versione ufficiale secondo cui le notizie pubblicate contro il rampollo fossero fake news confezionate dalla Russia. Peccato che era tutto vero.

Nella stessa direzione censoria vanno lette le politiche di alcuni paesi occidentali (in particolare, Francia, Regno Unito, Usa e Canada) di bloccare i conti correnti di coloro che esprimono opinioni ritenute scomode. Nell’inverno del 2022, il primo ministro canadese Justin Trudeau aveva congelato (e poi fatto riattivare) 120 conti correnti di cittadini che avevano sostenuto, con donazioni, il movimento dei camionisti che si erano opposti alle politiche emergenziali sul Covid e di altre persone coinvolte nelle proteste. In Francia la scure della sospensione dei conti correnti targata Macron, da tempo prende di mira persone e associazioni fautrici di idee “non allineate”, spesso di destra, con la conseguenza che le credenziali bancarie di coloro che vengono ritenuti sospetti vengono sospese fino a nuovo ordine, con una laconica comunicazione della banca. 

L’incredibile de-banking

Negli Usa, la pratica del “de-banking” sarebbe portata avanti da agenzie governative in servizio permanente effettivo per scovare chi andrebbe bloccato, al punto che lo stesso Robert Kennedy Jr, parlando di “uso devastante della repressione del governo” aveva protestato contro questa politica, inserendo il problema del blocco dei conti correnti nel proprio programma elettorale. Ma è nel Regno Unito che il blocco dei conti correnti assume proporzioni decisamente superiori: fra il 2022 e il 2023 sono stati, infatti, sospesi ben 350 mila conti e fra i destinatari di questa odiosa pratica vi è stato perfino Nigel Farage, il fautore della Brexit. Il fenomeno sta, dunque, assumendo una connotazione sempre più ampia e la pratica di togliere il denaro a chi dissente assume i connotati di uno strumento di censura degno dei peggiori scenari orwelliani.

Rispetto a tutto questo, l’auspicio è che possa nascere e consolidarsi un’Europa culturalmente indipendente dai diktat dei burocrati di Bruxelles e dai loro fratelli minori di Washington. Ma questa è un’altra storia, o forse soltanto un sogno.

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