Castellitto, nuovo bersaglio della sinistra. Ovvio: non vota Pd, criticò la Zan, interpretò D’Annunzio
Sergio Castelllitto, fino al 5 ottobre 2023, era un grande attore italiano, con una carriera fulgida, un futuro luminoso da regista impegnato, una moglie scrittrice di grande successo, Margareth Mazzantini, un figlio, Pietro, talentuoso e per nulla raccomandato dal padre. Poi, improvvisamente, il mattatore s’è imbolsito, forse ha iniziato perfino a recitare da cane, ha iniziato a pensare ai soldi, al mutuo, alla famiglia, agli amichetti, è un po’ scomparso dai grandi giornali vagamente di sinistra, prima di essere addirittura accusato di essere un tagliatore di testa. Cos’è accaduto il 5 ottobre del 2023?
Sergio Castellitto e la scomunica della sua sinistra
Semplice: Castellitto è stato nominato direttore del Centro sperimentale di cinematografia, nota scuola di cinema la cui sede principale è vicino a Cinecittà, a Roma. Nota roccaforte di sinistra. Con lui, Pupi Avati e Giancarlo Giannini, nel Cda, scelti dal “demone” anticomunista Sangiuliano: due attori e registi di livello internazionale, non certo Bibì e Cocò o Gigione. Da quel momento, da sinistra, per Castellitto è iniziato un lento lavoro ai fianchi, che in coincidenza con le dimissioni del ministro della Cultura è diventato assalto politico vero e proprio, con tanto di interrogazioni parlamentari. Nei giorni scorsi, Castellitto s’è difeso dalle pagine del Corriere della Sera, senza peraltro mai fare professione di fede politica, materia che dimostra, da sempre, di trattare col giusto distacco, anche troppo, secondo la sinistra.
La difesa, carte alla mano, dell’attore
“Il mio incarico è a titolo gratuito. Non so per quanto resisterò. Sono un uomo libero, non ho nessun legame con il governo. Ho accettato questo incarico solo per spirito di servizio. Cerco di affrontarlo come farebbe un bravo regista che ascolta, se serve cambia, altrimenti no”, ha detto in alcune interviste. Oggi che lo accusano di consulenze d’oro, favori alla moglie, utilizzo di fondi, licenziamenti, e forse anche di non essere più un bravo attore. Motivo? E’ stato nominato dalla destra, ma negli anni scorsi aveva ammesso di essere di sinistra ma non di non votare più Pd, aveva criticato il ddl Zan, il “Me too”, il protezionismo culturale di Franceschini, aveva interpretato D’Annunzio senza criticarne le simpatie mussoliniane, aveva ironizzato sulla cancel cultue – “quello è il vero fascismo” – e soprattutto non aveva divorziato dalla figlia di Carlo Mazzantini, autore di “A cercar la bella morte“, la quale figlia, Margareth – ne “Il catino di zinco” – aveva evocato l’esperienza del padre nella Repubblica di Salò.
Il “non martire” politico
Ma il diretto interessato non ama il martirio politico e ai giornali spiega: “Sono sistematicamente attaccato solo perché sto cercando di fare ordine e probabilmente ho smosso acqua stagnante da molti anni. Nella vita ho incontrato conflitti e armonie ma combatterò sempre la ferocia travestita da indignazione. Lavoro con tutto il mio impegno a titolo completamente gratuito. E questo non l’ho mai visto scritto da nessuna parte. Non ho mai licenziato i 17 lavoratori. Questi collaboratori, verso i quali ho il massimo rispetto, avevano un contratto a tempo determinato, per un progetto di digitalizzazione, in scadenza a luglio”. Poi sulle consulenze, ricorda che “tutti i presidenti che mi hanno preceduto hanno assunto consulenti e avvocati di loro fiducia, i contratti nuovi hanno sostituito i vecchi in scadenza”. E sulla moglie Margaret Mazzantini, che ha preso parte alla manifestazione Diaspora degli artisti in guerra, in relazione all’incontro con David Grossman, dice: “Ha percepito 4 mila euro lordi come tutti gli altri ospiti. Non svolge nessuna attività di consulenza presso il Csc”. Si difende con le carte, dunque, ma senza fare la vittima: per fare i martiri serve talento e lui, forse, sa di averlo perso, da quel 5 ottobre 2023…